mercoledì 30 gennaio 2013

Pace

POSTATO dal prof d’italiano:

Da la Repubblica del 29 gennaio 2013, questo articolo su una cosa importante come la PACE.

Pace
Dal ramo d’ulivo alla colomba
così la non violenza lascia il segno
di Enrico Franceschini


Si può dirlo con le parole: "La pace sia con te", "Pace e bene", "Fate la pace non fate la guerra". Ma si può dirlo anche con le immagini: il ramoscello d'ulivo, la colomba, l'arcobaleno, il fucile con i fiori nella canna. E poi il segno che tutti conoscono per averlo visto sulle bandiere, sui muri, sui manifesti, il cerchio con dentro una riga verticale incrociata da due mezze diagonali. Ha tanti simboli, la pace, l'obiettivo che l'uomo da un lato rincorre dalla notte dei tempi, dall'altro fa di tutto per calpestare. Ma da dove vengono, come sono nati, cosa significano esattamente? Mentre si combatte in Mali e si rischia una nuova grande guerra in Medio oriente a causa del programma nucleare iraniano, mentre conflitti piccoli e grandi sconvolgono la quiete sociale delle nostre esistenze, un libro prova a rispondere a queste domande. In "Signs for peace: an impossible visual encyclopedia" (Segni di pace: un'enciclopedia visuale impossibile), il disegnatore grafico Ruedi Baur e sua moglie, la sociologa Vera Bauer Kockot, ripercorrono la storia degli emblemi del pacifismo, e di come si sono evoluti a seconda delle situazioni. Tutto comincia con la mitologia greca, con la lotta tra Poseidone e Atena, lui con il tridente apre una fonte d'acqua salata sul terreno, lei risponde piantando un ulivo, l'albero rappresenta pace e prosperità. La dea ha la meglio grazie all'astensione di Zeus, dà il suo nome ad Atene, la città più grande della Grecia, e da quel momento il suo ulivo diventa il simulacro universale della pace. Beninteso, il merito non è solo di Atena: se la faccenda fosse finita lì, vedendo un ramoscello d'ulivo avremmo pensato solo alle olive e all'olio che se ne ricava in tutto il Mediterraneo. Ma fu adottato come simbolo di pace anche dall'Impero romano, Virgilio vi fa riferimento in tal senso nell'Eneide, mentre Eirene, la dea romana della pace, veniva spesso disegnata con un ramoscello in mano. La tradizione è rimasta fino al 1600, quando poeti e artisti lo usavano come motivo di pace, quindi è finito ad adornare varie monete, poi è apparso in innumerevoli contesti ufficiali, dal Gran Sigillo degli Stati Uniti nel 1782 alla bandiera delle Nazioni Unite nel 1946. Oggi chiunque sa cosa vuol dire passare di mano in mano un ramo d' ulivo. E proprio il ramo d'ulivo ha introdotto un altro simbolo di pace: nel racconto biblico, la colomba che lascia l'Arca di Noè e poi torna per annunciare la fine del diluvio e l'inizio di una nuova era ne ha appunto uno in bocca. Il volatile ha dovuto attendere più a lungo per diventare sinonimo di pace: lo utilizzavano a questo scopo i primi movimenti pacifisti del 19esimo secolo. Ma la sua più famosa incarnazione è la colomba disegnata da Pablo Picasso tra il 1940 e gli anni Cinquanta, in una serie di poster per il Congresso mondiale della Pace. Di simboli ce ne sono tanti altri nelle pagine dell' "Enciclopedia Visuale", dall'arcobaleno (in seguito diventato l'immagine del movimento gay) al "mettete dei fiori nei vostri cannoni", ossia nelle canne dei fucili, inno degli hippie realizzato nella rivoluzione dei garofani in Portogallo nel 1975, fino a segni più religiosi, come gli angeli. Ma il più noto oggi, anche più di ulivo e colomba, è probabilmente il "segno di Holtom", disegnato nel 1958 da un attivista disoccupato del movimento contro le armi nucleari, obiettore di coscienza e disegnatore, per conto della Campagna per il Disarmo nucleare, un' associazione pacifista inglese. Avevano dato l'incarico a lui, pensava di disegnare una croce ma ci furono obiezioni, non gli veniva un'altra idea, «ero disperato, assolutamente disperato», ricordava, «così disegnai me stesso, il rappresentante di un individuo preso da totale disperazione, con le braccia allargate come i condannati nella scena della fucilazione di Goya, formalizzai il disegno e lo misi dentro un cerchio». Ecco fatto. Si poteva leggere come una dichiarazione politica, perché quella linea verticale e le due diagonali erano i simboli delle lettere N e D nell'alfabeto semaforico, dunque significavano Nuclear Disarmament, Disarmo Nucleare. Altri hanno interpretato il simbolo come "la morte dell'uomo" e il cerchio come "il bambino mai nato". Come che sia, il suo autore non mise alcun copyright al disegno, che ebbe un impatto memorabile, prima per la causa dell'anti-nucleare, poi per la pace in generale. Attraversò subito l'Atlantico, finì alle manifestazioni di Martin Luther King per i diritti civili dei neri americani, quindi alle proteste contro la guerra in Vietnam e da lì in avanti non si fermò più, apparve sulle strade di Praga invasa dai carri armati sovietici nel 1968, sul muro di Berlino, sulle tombe delle vittime delle dittature, dai colonnelli greci alla giunta argentina a Timor Est. Oggi è dappertutto.

sabato 26 gennaio 2013

ZAGO GIANLUCA ,.....CIAO PIAGGIO LE ORIGINI DEL MITO.....

CIAO PIAGGIO
1caratteristiche
    2 Il Ciao
    3 Modelli derivati
    4 Caratteristiche tecniche
    5 Note
    6 Voci correlate
    7 Altri progetti
    8 Collegamenti esterni

Sin dalla sua presentazione si è particolarmente distinto per la semplicità meccanica: è infatti provvisto di un motore a cilindro orizzontale da 49,3 cm³ (alesaggio x corsa mm 38,4 x 43) a due tempi funzionante con miscela benzina/olio al 2%; carburatore Dell'Orto SHA 12/10; distribuzione regolata da una spalla dell'albero motore. Raffreddamento ad aria forzata sul cilindro per mezzo di una ventola ricavata con alette di fusione sul volano magnete. La testa è esposta al flusso d'aria naturale. L'avviamento avviene tramite pedali dapprima molto simili a quelli di una bicicletta, in seguito fatti di metallo ricoperto di plastica nera. Essi azionano con un giro di catena la ruota posteriore, che a sua volta trasmette il movimento al motore attraverso la cinghia di trasmissione. Ciò comporta la presenza di due distinti gruppi di frizione automatica (uno per l'avviamento, l'altro per il moto normale) entrambi alloggiati nel medesimo gruppo rotante. Lo spegnimento non avviene con il consueto "bottone di massa" ma agendo con una corta leva al manubrio su una valvolina in testa (decompressore).

Dotato di un telaio molto semplice in lamiera d'acciaio, le cui forme richiamavano le biciclette da donna del tempo e al cui interno era ricavato anche il serbatoio del carburante (2,8 litri di capacità), di trasmissione automatica a cinghia trapezoidale e di impianto frenante a tamburo, divenne in breve tempo un veicolo di successo al pari dell'altra famosa creazione della casa, la Vespa.

Nella fabbricazione si era cercato di ridurre al minimo i costi e di contenere il peso (inferiore a Kg 40, a secco); tutto era improntato alla massima semplicità, a partire dall'impianto delle sospensioni anteriori a biscottino. Per quanto riguarda il posteriore, la sospensione era addirittura inesistente e il comfort per il guidatore era affidato a delle molle sottostanti al sellino. Un ridotto numero di esemplari della prima serie aveva la ruota anteriore anch'essa priva di sospensione e dotata di un freno a forcella di tipo ciclistico. Queste scelte tecniche resero possibile, in data 11 ottobre 1967, presentarlo al pubblico al prezzo di listino di sole 55.000 lire.

A partire dal 1973 (serie Arcobaleno) venne introdotta la versione SC (Super Comfort), nella quale la sella (con le proprie normali molle sotto al rivestimento) era retta da un braccio imperniato nel ripiano portapacchi posteriore e supportato da una corta molla alloggiata nel puntale anteriore del medesimo ripiano. Combinando i due tipi di sella con la presenza o meno del variatore di velocità, vi erano quindi disponibili 4 versioni del modello base (N-V-SC-VSC). Il prezzo massimo (nel 1973) era di poco inferiore a Lire 140.000.

Uno dei suoi punti di forza era certamente il peso irrisorio, oltre al ridotto consumo di carburante (la casa affermava fosse di 70 Km/l) e alla manutenzione particolarmente semplificata. Il suo successo sul mercato indusse varie aziende specializzate nella produzione post-vendita a predisporre accessori ed elaborazioni specifiche per questo modello; tra le più note quelle di Malossi, Polini, Giannelli, Pinasco, Deganello e Simonini.

Il suo successo non fu limitato al mercato italiano ed ottenne un buon riscontro anche sul mercato tedesco dove veniva venduto in due versioni di cui una (Mofa) con velocità massima ulteriormente ridotta a 25 km/h rispetto a quella di 40 km/h ammessa dal Codice della strada italiano di quel periodo.
Un Ciao PX del 1985

Durante i quasi 40 anni di produzione, con 3 milioni e mezzo di esemplari, il Ciao e stato il ciclomotore italiano più venduto nel mondo"[1]. la sua linea è rimasta pressoché invariata. Le modifiche hanno riguardato principalmente il propulsore che, nella versione più recente, ha ottenuto l'omologazione Euro 2, l'aggiunta del variatore automatico di velocità e il miscelatore collegato all'albero motore (entrambi i componenti sono presenti nei moderni scooter).

Un punto di forza del Ciao sono i consumi ridotti, effettivamente pari a circa 50 km/l, che gli permettono una percorrenza di 140 km con un pieno. Altre caratteristiche di successo sono il gancio portaborsa, il portapacchi posteriore l'antifurto di tipo bloccasterzo e la possibilità d'essere impiegato anche come bicicletta semplicemente sbloccando il mozzo posteriore premendo un perno. Fra gli accessori disponibili c'erano il parabrezza, lo specchietto sinistro, il tappo per il serbatoio apribile con una chiave, il tachimetro/contachilomteri (alloggiato nel faro), il portapacchi anteriore e borse laterali.

Data anche l'importanza storica del modello è stato da poco istituito, a cura di Giancarlo Catarsi in collaborazione con la Piaggio, un Registro storico dedicato.
Il Ciao e la "sardomobile" [modifica]

Sardomobile è il termine metaforico con in quale, negli anni settanta, veniva definita l'automobile dagli appassionati dei veicoli a due ruote.

In quegli anni, molti erano ancora i sostenitori della supremazia del mezzo a due ruote per la mobilità autonoma urbana ed extraurbana che, con il termine "sardomobili", intendevano sottolineare il grande senso di libertà della moto, in rapporto al viaggiare in auto tra anguste pareti di lamiera, quasi come sardine in scatola.

Tale definizione venne presa da una fortunata e martellante campagna pubblicitaria della Piaggio che, tra i diversi slogan, recitava: "Le sardomobili hanno cieli di latta. Liberi chi Ciao"[2].

Il termine ebbe grande diffusione, soprattutto tra i giovani motociclisti, e rimase in uso fino agli anni ottanta, quando le maggiori dimensioni interne delle automobili utilitarie prodotte in quel decennio, resero meno significativa la condizione di "inscatolamento" degli occupanti.
Modelli derivati [modifica]

Dal Ciao vennero prodotti altri cinque modelli, ciclisticamente più raffinati:

    * Piaggio Boxer, prodotto dal 1969 al 1983;
    * Piaggio Bravo, dotato di doppio ammortizzatore al posteriore, prodotto dal 1973 al 2001;
    * Piaggio Si, provvisto di forcelle telescopiche accoppiate a un ammortizzatore posteriore, che può essere considerato la versione più moderna del Boxer, prodotto dal 1979 al 2001;
    * Piaggio Boss, prodotto dal 1988 al 1989 e dotato di molte innovazioni;
    * Piaggio Grillo, prodotto dal 1989 al 1996.

Nel 2001 la Piaggio ha dismesso la produzione di tutta la famiglia tranne che del Ciao, il quale invece è stato venduto in versione catalizzata.C

martedì 1 gennaio 2013

Conoscere Giuseppe Verdi

POSTATO dal prof d’italiano:


Nel 2013 si celebra il bicentenario della nascita di 2 grandissimi musicisti: Giuseppe Verdi e Richard Wagner. Pur essendo entrambi due capisaldi della musica, come italiano non posso non prediligere Giuseppe Verdi, il cui genio mi rende orgoglioso di essere italiano.
Voi sapete che io amo tantissimo l’opera lirica, che considero una delle forme artistiche più alte che esistano; per questo mi piacerebbe trasmettere questa mia passione anche a voi, pur consapevole che alla vostra età non è facile capire la bellezza di questa musica. Ma poiché questo succede perché non sapete a fondo che cosa sia l’opera, vorrei qui invitarvi a incominciare a entrare nel mondo meraviglioso della lirica, partendo proprio dalla commemorazione di Verdi che si fa quest’anno.
Ho deciso di elencarvi (nell’ordine in cui sono state rappresentate a teatro per la prima volta) tutte le opere liriche di Verdi (trascurando i rifacimenti), scegliendo per alcune di esse uno o più brani (un’aria, un coro, un duetto o altro), che a me piacciono particolarmente e creando un link con un filmato che vi permetta di vederli e ascoltarli (e scusatemi se i video non sono tutti eccezionali: per la lirica, più che per altre cose, youtube rivela tutti i suoi limiti!).
Spero che mi seguiate in questo viaggio: mi basterebbe che ognuno di voi cliccasse e ascoltasse almeno uno dei link proposti. E se volete saperne di più, alla voce Giuseppe Verdi di Wikipedia trovate tutto ciò che c’è da sapere su ogni singola opera verdiana (librettista, trama e così via).

1939: Oberto, Conte di San Bonifacio
1840: Un giorno di regno
1842: Nabucco
Link per l’ouverture dell’opera:

Link per l’aria di Abigaille “Ben t’io invenni – Anch’io dischiuso un giorno – Salgo già del trono aurato”:

Link per  la scena d’insieme “S’appressan gl’istanti” e scena seguente:

Link per il coro “Va’ pensiero”:

1843: I Lombardi alla prima crociata
Link per il coro “O Signore, dal tetto natio”

1844: Ernani
Link per la scena finale dell’atto III “O sommo Carlo”:

1844: I due Foscari
Link per la scena “Ah sì, ch’io senta ancora – Dal più remoto esiglio – Odio solo”:

1845: Giovanna d’Arco
1845: Alzira
1846: Attila
Link per la cavatina di Odabella “Santo di patria indefinito amor”:

1847: Macbeth
Link per il coro delle streghe: “Che faceste? Dite su! – Le sorelle vagabonde”:

Link per la scena finale dell’atto I: “Di destarlo per tempo il Re m’impose – Schiudi, inferno, la bocca”:

Link per la scena del brindisi: “Si colmi il calice”:

1847: I masnadieri
1848: Il corsaro
1849: La battaglia di Legnano
1849: Luisa Miller
Link per la romanza “Quando le sere al placido”:

1850: Stiffelio
1851: Rigoletto
Link per l’aria di Gilda “Caro nome che il mio cor”:

Link per l’invettiva di Rigoletto “Cortigiani vil razza dannata”:

Link per l’aria del duca “La donna è mobile”:

Link per il quartetto “Bella figlia dell’amore”:

1853: Il trovatore
Link per l’aria di Eleonora “Tacea la notte placida – Di tal amor che dirsi mal può dalla parola”:

Link per il coro degli zingari “Vedi! Le fosche notturne spoglie”:

Link per l’aria del Conte di Luna “Il balen del suo sorriso”:

Link per il finale dell’atto III “Di quella pira”:

1853: La traviata
Link per il brindisi “Libiam ne’ lieti calici”:

Link per finale atto 2° :

Link per il duetto “Parigi, o cara”:

1855: I vespri siciliani
Link per il bolero “Mercè dilette amiche”:

1857: Simon Boccanegra
1859: Un ballo in maschera
Link per l’aria del baritono “Alzati… - Eri tu che macchiavi”:

1862: La forza del destino
Link per l’aria con coro “La Vergine degli angeli”:

Link per il “Rataplan” di Preziosilla:

1867: Don Carlos
Link per l’aria di Eboli “O don fatale”:

1871: Aida
Link per coro “Gloria all’Egitto” e marcia trionfale (anche se è molto kitsch):

1887: Otello
Link per l’inizio dell’opera “Una vela… - Esultate!”

Link per l’aria “Dio, mi potevi scagliar”:

1893: Falstaff
Link per il finale dell’opera “Tutto nel mondo è burla”:

Auguri 2013