sabato 29 dicembre 2012

Come fare il lavoro per l'esame orale di Terza Media

Come fare il lavoro per l'esame orale di Terza Media

POSTATO dal prof d’italiano:

CONSIGLI SU COME FARE IL LAVORO PER L’ESAME ORALE

Vi do una serie di consigli su come fare il lavoro per l’esame orale; naturalmente non obbligo nessuno a fare come dico io, ma non sarebbe male se li seguiste. Li pubblico nel nostro blog, anziché su carta, per risparmiare, visti i chiari di luna in corso.
I consigli sono numerosi e forse impegnativi: be’, l’esame di Terza Media non è uno scherzo, se uno vuole fare le cose con impegno. In caso contrario….

ASPETTI TECNICI DEL LAVORO IN POWER POINT (O IMPRESS)

Le diapositive devono avere uno sfondo scuro e uniforme e le scritte devono essere di colore chiaro; questo perché risultano più eleganti, più facili da leggere e stancano meno. Solo la prima diapositiva può essere fantasiosa e multicolore (ma non troppo).
Vedi esempi:
esempio positivo:

esempio negativo

La prima pagina deve contenere i dati essenziali, come nell’esempio precedente.
La seconda pagina deve avere in alto un titolo dell’argomento generale, poi deve contenere le materie e l’argomento correlato a ciascuna di esse (nell’ordine con cui vorresti affrontare l’esame, che non è detto che in realtà venga rispettato. Infatti gli insegnanti possono intervenire nel colloquio, facendoti “saltare” di qua e di là a loro piacimento. Per questo motivo è meglio che ogni argomento dell’elenco abbia un “pulsante d’azione” che ti permette di spostarti tra le varie diapositive e anche l’ultima diapositiva di ogni materia deve avere un “pulsante d’azione” che ti permette di ritornare alla pagina 2. C’è anche da dire che i pulsanti d’azione, se ti è più agevole, possono non esserci).
Esempio:

Le diapositive successive devono seguire l’ordine delle materie da te stabilito.

Ogni diapositiva deve contenere
1-     un testo (possibilmente breve)
2-     una immagine relativa al testo di quella diapositiva
Perché il testo dev’essere breve? Perché deve poter essere letto dagli insegnanti con un colpo d’occhio (o quasi) e perché deve servire a te non per essere letto, ma solo per rammentare in sintesi il discorso che devi fare; cioè su ogni diapositiva tu devi saper dire molto più di quel che c’è scritto (a volte mi è capitato di assistere a delle conferenze in cui chi parlava, leggeva ciò che aveva scritto nelle slide che mostrava: cosa irritante per l’uditore e che fa fare a chi parla la figura dell’impreparato totale. La valutazione del tuo colloquio d’esame sarà misurata anche, se non soprattutto, sulla preparazione che dimostrerai. Ripeto: la diapositiva deve servirti solo come spunto di partenza per il tuo discorso e di solito contiene i dati che uno non può [o è inutile] imparare a memoria; ad esempio è inutile sapere quanti km quadrati è grande il Vietnam).
Esempio di testo positivo:

esempio di testo negativo:


Il testo non deve assolutamente essere un copia e incolla da Internet (nemmeno se provvedi a eliminare quei segnali, tipo parole sottolineate, che evidenziano appunto il copia e incolla – come nell’esempio seguente:

Ricorda che i prof sanno riconoscere per istinto un copia e incolla e quando vedono che un alunno ha lavorato in quel modo, abbassano spontaneamente la valutazione finale!)
Come devi fare allora? Devi sintetizzare ciò che vuoi scrivere con parole tue; naturalmente i dati oggettivi (per esempio popolazione del Vietnam, nomi dei fiumi, dati economici ecc.) non possono essere cambiati, rimangono quello che sono. Ma un conto è fare così, con un copia e incolla da Wikipedia:

e un altro conto è fare così:

In quest’ultima diapositiva va bene il testo che è stato personalizzato: non va bene il fatto che sia troppo lungo, infatti con questo testo si possono fare 4 diapositive:
1 sul riso
2 sugli altri prodotti agricoli
3 sui prodotti da piantagione
4 sull’allevamento
Ogni diapositiva con la propria immagine adeguata (vedi quest’ottimo esempio):


L’esempio precedente ti fa capire che, in certi casi (cioè quando la foto non sia di evidente comprensione), l’immagine necessita di una didascalia: essa va scritta in carattere, dimensione, colore differenti rispetto al testo vero e proprio.

Per quanto riguarda le immagini, esse non devono essere ingrandite fino a sgranarsi e sfocarsi completamente; per questo bisogna cercare e inserire immagini che siano già grandi di suo (meglio rimpicciolirle, così la qualità non peggiora).
Esempio:


Per quanto riguarda video e musica, è meglio non inserirli, perché il lavoro diventa troppo pesante; se proprio ne hai necessità, meglio mettere semplicemente un link a un video presente in internet.
Esempio:

COME PARLARE DEL LIBRO DI ITALIANO

In una prima diapositiva mettere come immagine la copertina del libro (anche quella originale, se la trovi) e nel testo riportare:
-         nome dell’autore
-         titolo del libro (tra parentesi il titolo originale, se il libro è straniero)
-         anno di pubblicazione in Italia (e tra parentesi anno di prima pubblicazione nel Paese d’origine)
-         casa editrice
Esempio:


Come seconda diapositiva, scrivere una trama sintetica del libro con parole proprie (se la trama non ti viene breve, puoi spezzarla in più diapositive, ma sarebbe meglio fare una breve trama) e mettere un’immagine adeguata alla trama.

Come terza diapositiva un tuo commento al libro: dire non solo se ti è piaciuto o no, ma cercare anche di fare un discorso critico, sulle qualità del libro, sulla sua importanza, sul genere letterario, sul successo che ha avuto, ecc… - tutte cose che puoi trovare nel libro stesso (se è un classico della letteratura) o in internet.

Come quarta diapositiva, una biografia dell’autore: breve se è un romanziere moderno e non importantissimo, più lunga (e in più diapositive) se è un autore classico. Ogni diapositiva con relativa immagine: una foto (o più) dell’autore (o un dipinto, se è dei secoli antichi), della sua casa natale, della sua città natale, della sua famiglia, di un suo manoscritto e quant’altro.
Se l’italiano è il tuo punto di partenza per il colloquio e se porti un autore importantissimo (per esempio, Giacomo Leopardi), la biografia deve essere ampia e precisa, con riferimenti anche al movimento culturale cui appartiene l’autore.

Come quinta diapositiva (se necessario) fare l’elenco (completo o parziale) dei suoi libri; come immagine, scegliere la copertina di alcuni di essi.

Come ultima diapositiva puoi riportare un brano del libro (non troppo lungo) che ti sia particolarmente piaciuto (oppure di questo puoi parlarcene direttamente durante il colloquio).

COME PARLARE DI UN FILM CHE PORTI PER ARTE

Prima diapositiva: scheda tecnica del film + locandina (italiana o originale, o entrambe).
Come esempio di scheda tecnica, vedi l’immagine sottostante:

I dati tecnici di un film li puoi ricavare direttamente dal film, oppure li trovi in uno dei tanti siti di cinema che ci sono (ricco e attendibile è il sito IMDb, ma anche Wikipedia è credibile).
Nel caso il titolo originale del film sia identico a quello italiano, si mette lo stesso.
Se il film non ha vinto alcun premio importante, si omette il riquadro dei premi.
Se il film è importante per qualche altro aspetto (per esempio la canzone originale, le coreografie, il tipo di animazione ecc…), lo si aggiunge.

Nelle diapositive successive puoi mettere
-         trama personale del film
-         commento critico del film (come per il libro di italiano)
-         biografia sintetica del regista
-         altri film dello stesso regista
-         citazione di una battuta celebre del film (ad esempio in “Apocalypse Now” è famosissima la frase: Mi piace l’odore del napalm al mattino)

COME PARLARE DI UN DIPINTO CHE PORTI PER ARTE

Chiedi all’insegnante di Arte maggiori dettagli. Io metterei come prima diapositiva il dipinto (solo lui, che copra tutto lo spazio necessario), poi informazioni sul pittore, sul movimento culturale di appartenenza, sulla tecnica usata per quel dipinto, sull’importanza del dipinto, sui significati di esso e così via. Ma – ripeto – chiedi all’insegnante di Arte.
Lo stesso vale se anziché un dipinto, porti una scultura o un monumento.

COME FARE IL LAVORO DI MUSICA

Se porti una sinfonia, un concerto, una sonata ecc…, cioè se porti un brano di musica classica sinfonica (solo musica), puoi indicare
-         autore del brano
-         titolo della composizione
-         strumentazione (cioè se è un brano per orchestra, o per strumento solista + orchestra, o un duo – trio – quartetto ecc…)
-         periodo di composizione
-         anno (o se conosciuto, giorno mese e anno) della prima esecuzione, con il luogo in cui è stato eseguito per la prima volta
-         biografia dell’autore
-         appartenenza dell’autore a un movimento culturale
-         successo e importanza del brano
-         considerazioni personali sul brano

Se porti un’opera lirica, puoi indicare
-         autore della musica
-         librettista
-         personaggi dell’opera
-         periodo di composizione
-         anno (o se conosciuto, giorno mese e anno) della prima esecuzione, con il luogo in cui è stata eseguita per la prima volta
-         biografia dell’autore
-         appartenenza dell’autore a un movimento culturale
-         successo e importanza dell’opera
-         manifesto dell’opera (alcune opere molto famose avevano nell’800 o nei primi anni del ‘900 dei manifesti che le pubblicizzavano e che sono molto belli; oppure c’erano le cosiddette figurine liebig che sono molto carine)
-         considerazioni personali sull’opera
-         (se nell’opera c’è un’aria importante o che ti è particolarmente piaciuta) riscrivi il testo di quell’aria (o romanza, o coro, o duetto, o quello che è)

Se porti una canzone (di musica leggera, rock, rap ecc…), puoi indicare
-         nome dell’interprete
-         nome di chi ha scritto la canzone (parole e musica)
-         in quale long playing (o cd) è contenuta e quando esso è stato pubblicato (se la canzone è uscita prima come singolo, riportare quando è uscito il singolo)
-         genere musicale cui appartiene la canzone (folk, pop, rock, hip hop ecc…)
-         il testo della canzone (se è una canzone straniera, sia il testo originale che la sua traduzione in italiano: il massimo sarebbe che la traduzione la facessi tu! Magari controllando in qualche modo che la tua traduzione sia esatta)
-         la copertina del disco che contiene la canzone
-         il nome di chi ha fatto una cover di questa canzone (cioè di chi l’ha reinterpretata – naturalmente se qualcuno l’ha reinterpretata)
-         considerazioni personali sulla canzone (sul testo e sulla musica)

Per dei suggerimenti in più, chiedi alla prof di musica

COME FARE IL LAVORO DI GEOGRAFIA

Se è uno Stato (o una regione) io farei così (immagina che a ogni lineetta corrisponda almeno una diapositiva; in certi casi possono o devono essere più di una):

-         cartina fisica dello stato
-         collocazione nello spazio (continente, coordinate geografiche, punti estremi, confini)
-         rilievo (cioè catene montuose, monti, colline, pianure, bassopiani ecc…)
-         le isole
-         l’idrografia (mari, fiumi, laghi)
-         clima (o climi, se in uno stato ce ne sono diversi)
-         ambienti (per ognuno dei quali vanno indicate flora e fauna)
-         cartina politica
-         la popolazione (numero di abitanti, densità di popolazione, etnie)
-         la lingua ufficiale (e, se ci sono, le altre lingue parlate dalle minoranze)
-         la religione prevalente e le altre religioni, se ci sono
-         l’economia: settore primario (agricoltura, allevamento, pesca, foreste, miniere)
-         l’economia: settore secondario (industrie e attività artigianali)
-         l’economia: settore terziario (commercio e servizi: giornali, trasporti, scuole, ospedali ecc…)
-         ordinamento politico
-         la bandiera
-         le città (capitale e città principali)
-         moneta
-         peculiarità dello stato (per esempio, guerre in corso, importanza nel campo tecnologico, siti archeologici di fama mondiale,  cittadini famosi ecc…)

Se non è uno Stato, bensì un fenomeno (per esempio la fame nel mondo), puoi fare così:

-         dove il fenomeno è diffuso
-         quali sono le sue cause
-         quali conseguenze ha sulla popolazione
-         quali rimedi potrebbero esserci se è un fenomeno negativo, o quali possibilità ci sono che il fenomeno, se positivo, si diffonda in altre zone
-         quali conseguenze ha nei rapporti internazionali
-         quali associazioni si preoccupano per questo fenomeno

COME FARE IL LAVORO DI STORIA

Per storia è più difficile dare delle indicazioni precise; dipende dall’evento storico, da quanto è importante, da quanto è durato, da quanto è complesso.
In linea di massima, l’applicazione dello SCHEMA DEI FATTI al fatto che porti all’esame è fondamentale; significa che devi aver ben chiari nella tua testa
CHE COSA è successo
QUANDO è successo (inizio, fine, durata)
DOVE è successo
PERCHÉ è successo
COME è successo
CHI è stato coinvolto nel fatto
QUALI CONSEGUENZE ha avuto questo fatto

Come predisporre il lavoro è compito tuo: dovrai decidere a seconda del tuo argomento che cosa privilegiare e che cosa tralasciare, ma un accenno almeno alle 7 voci dello schema dei fatti ci deve essere. Ricorda sempre le immagini, che nel caso della storia devono essere molto significative e precise (per dire, se l’argomento è la guerra del Vietnam, non posso mettere un’immagine della seconda guerra mondiale o della guerra del Golfo!)

PER LE ALTRE MATERIE
Chiedi ai vari insegnanti (mi dispiace, ma non so come altro aiutarti!)

giovedì 13 dicembre 2012

Un capolavoro dell'arte contemporanea

POSTATO dal prof d'italiano:

Ricevo in regalo questo bellissimo disegno e lo pubblico; grazie Forajo!

mercoledì 12 dicembre 2012

POSTATO DA GIOVANNI PIOVESAN
LENZUOLI ESAME DI STATO: GENIO INCOMPRESO
http://youtu.be/_RMbLKJWxN8
GUARDATE ANCHE GLI ALTRI

SOCIAL MEDIA


POSTATO DA GIOVANNI PIOVESAN
Ogni tanto qualche manciata di statistiche e curiosità sui Social Media, raccolte in un’infografica colorata e ben fatta, ci ricorda quanto il fenomeno Social abbia preso piede nella nostra società.
Ecco quindi un’infografica fresca fresca di Go-Globe con un po’ di dati relativi a Facebook,TwitterLinkedInPinterestYoutube e Blog.
Stupiti dal fatto che il 25% degli utenti Facebook non sono preoccupati dai possibili problemi legati alla privacy?
Sorpresi dai 750 tweets per secondo su Twitter?
Impressionati dalle 5 milioni di immagini al giorno caricate suInstagram?
Colpiti dagli oltre 3 milioni di nuovi blog al mese?
Sconcertati dal fatto che il G+ button viene usato 5 milioni di volte al giorno?
Beh, forse sarete ancora più sbalorditi sapendo che le visualizzazioni di Gangnam Style oggi sono oltre 655 milioni…
Altri dati e curiosità qua sotto. :)

mercoledì 5 dicembre 2012

E' morto Dave Brubeck

POSTATO dal prof d’italiano:

Traggo dal sito de la Repubblica questo testo:

E' morto il jazzista Dave Brubeck,
la leggenda di Take Five
La copertina del Time dell’8 novembre 1954 dedicata a Dave Brubeck

Domani, 6 dicembre, avrebbe dovuto festeggiare il suo novantaduesimo compleanno. Ma Dave Brubeck, uno dei più grandi pianisti della storia della musica americana, non ne ha avuto il tempo. Grande compositore, straordinario musicista, è morto oggi Norwalk Hospital, in Connecticut, a causa di un arresto cardiaco. Forse molti giovani possono non ricordare il suo nome, ma è impossibile che non abbiano ascoltato almeno una volta, anche solo per caso, le note di "Take Five", la sua più celebre composizione, il brano che ha contribuito più di ogni altro a farlo entrare nella storia della musica, inciso nel 1959 con il suo ormai leggendario quartetto e con l'inconfondibile sassofono di Paul Desmond.
Straordinario divulgatore del jazz e per questo spesso criticato da chi amava pensare ad un jazz unicamente afroamericano, "puro e incontaminato", Brubeck è stato un precursore di quella che oggi chiameremmo "contaminazione" tra generi, stili e sonorità diverse, in grado di coinvolgere un pubblico più ampio, continuando però a dare soddisfazione ai palati più raffinati. "Al pianoforte chi non è stato influenzato da Chopin?", amava dire, "Da Art Tatum ho imparato molto, ma anche lui amava Chopin".
Appassionato di musica, Brubeck non aveva scelto da giovane di diventare musicista, ma era evidente a tutti, soprattutto ai suoi professori a scuola, che fosse quella la sua strada. Si iscrisse quindi al conservatorio, ma a causa dei suoi problemi alla vista il giovane Dave non era in grado di leggere le partiture. Il che spinse, ovviamente, molti professori a consigliarlo di lasciar perdere: ma la sua evidente maestria e abilità, convinsero i suoi insegnanti a dargli la possibilità di prendere ugualmente il diploma che gli fu consegnato solo dietro la sua promessa di non insegnare mai pianoforte. Dopo il diploma, nel 1942 fu chiamato nell'esercito, venne a combattere in Europa, partecipò all'offensiva delle Ardenne, ma iniziò anche a suonare, con successo, per i suoi commilitoni,  organizzando la prima band militare interraziale.
Tornato a casa dopo la guerra Brubeck si iscrisse al Mills College di Oakland, dove iniziò a studiare sotto al guida di Darius Milhaud, mettendo insieme musica classica, contemporanea e, ovviamente il jazz. Il jazz, per il giovane Dave, era il sangue che scorreva nelle vene, che portava la vita e l'arte ad essere una cosa sola, era la musica dei giovani hipster, degli studenti universitari, di una generazione che all'alba degli anni Cinquanta cercava sonorità che fossero in grado di rappresentare il nuovo mondo che stava emergendo.
E proprio a questa generazione era diretta la musica del suo Quartetto, formato con Paul Desmond, sassofonista che aveva conosciuto sotto le armi. La band, fondendo il jazz con armonie e ritmi complessi e raffinati, conobbe un immediato e grandissimo successo, che portò Brubeck a conquistare, nel 1954, la copertina di Time, secondo musicista jazz ad avere questo onore (il primo era stato Armstrong nel '49). Con l'arrivo di Joe Morello e di Eugene Wright il quartetto trova il suo perfetto equilibrio e nel 1959 la band registra "Time Out", l'album che contiene il brano che diventa il loro marchio di fabbrica, "Take Five", e un altro grande classico passato alla storia del jazz come "Blue rondò a' la turk".
Da quel momento fino al 1967, anno in cui il quartetto di scioglie, la carriera di Brubeck attraversa una fase di successo planetario, soprattutto perché il suo stile diventa, assieme a quello di altri musicisti contemporanei (il west coast jazz), estremamente di moda, influenzando una intera generazione di compositori e solisti. Affabile, gentile, elegantissimo, Brubeck ha continuato negli anni seguenti a mescolare suoni e stili differenti, il suo marchio di fabbrica è rimasto quello, personalissimo, dell'amore per i tempi dispari, sui quali sono basate alcune delle sue composizioni più celebri.
A chi gli chiedeva cosa avesse imparato da maestri straordinari come Schoenberg e Milhaud, Brubeck rispondeva "Sono stati maestri eccezionali, anche se Schoenberg l'ho incontrato poco. A spingermi al jazz è stato proprio Milhaud, perché era l'unica forma originale di musica americana". Ma Brubeck è stato, di questa "forma originale di musica americana", un assoluto maestro, assieme agli altri grandi con i quali ha condiviso una delle stagioni più creative e travolgenti del jazz: "Sono stato fortunato, è vero", diceva, "Nel mio studio ho una foto con Charles Mingus, Miles Davis, Cab Calloway, Billie Holiday, Louis Armstrong, Benny Goodman, Count Basie e io sono l'unico ancora vivo. Ellington fu il primo che mi venne a sentire a San Francisco e mi spinse a trasferirmi a New York. Siamo rimasti amici fino all'ultimo. Parlavamo di musica e di impresari disonesti. Con Charlie Parker abbiamo fatto un tour in California nel 1953, credo. Con lui c'era il giovane Chet Baker. Mi ricordo che Bird stravedeva per Igor Stravinsky".

Per ascoltare la leggendaria “Take Five” clicca qui:
oppure qui:



Bullismi

POSTATO dal prof d’italiano:

Come diceva Frank Zappa in una sua canzone (lascio a voi la traduzione)

What’s the ugliest
Part of your body?
Some say your nose,
Some say your toes,
But I think it’s your mind!

Sono parole che io condivido al 100% e che uso come punto di partenza per un nuovo discorso da fare con voi, sollecitato da alcuni articoli di giornale di questi giorni e da quella cosa emersa a scuola sull'orribile usanza di grattarsi la pelle fino a sanguinare!. Io penso che sia proprio il cervello quella cosa che spinge le persone a quei comportamenti, frequenti purtroppo anche a scuola, che chiamiamo genericamente bullismo; perché solo la stupidità e la cattiveria (discendente dalla stupidità) possono spingere gli esseri umani a certi comportamenti.
Non aggiungo altro; intanto voi leggete questi 2 articoli.

1° articolo (apparso su la Repubblica il 3 dicembre 2012):

Tredicenne picchiata per un frappé
sputi e insulti da un branco di bulle
Di Lorenza Pleuteri
BOLOGNA - Botte, sputi, insulti. L'obbligo di mettersi in ginocchio e di chiedere scusa. Un'ora di umiliazioni, tra le persone che in un pomeriggio di fine settembre stavano entrando nel centro commerciale Le Befane di Rimini e hanno tirato dritto. Per una questione da nulla una tredicenne è stata maltrattata e vessata da quattro "bad girl" della sua età spalleggiate da un maschio. Ancora una violenza, soprusi tra adolescenti dopo il caso del giovane romano suicida perché additato come gay, nei giorni scorsi anche a Vicenza un giovane aveva chiesto aiuto dopo che a scuola era diventato oggetto di insulti e ironie da parte dei compagni perché indicato come omosessuale. A Rimini, il ragazzo e le "bulle", sono state identificate e rintracciate dagli investigatori. Hanno tra i 13 e i 17 anni. Tranne la più piccola, non imputabile per via dell'età, dovranno rispondere di lesioni, ingiurie, violenza privata, omissione di soccorso e minacce. «Era uno scherzo», continuano a giustificarsi quelle che ancora non si sono rese conto della gravità dell'aggressione. Altre hanno compreso di aver passato i limiti. Il pretesto è l'offerta di un frullato. La ragazzina ne ordina uno. Non le va più, lo lascia a metà. Chiede: «Qualcuno vuole finirlo?». Si sente rispondere di no, in malo modo. E si trovata accerchiata dalle ragazze e dal loro amico, persone che conosce. «Ci hai guardato male». E scatta la punizione. Il frullato rovesciato addosso. Un'altra bibita versata in testa. Le parole di scherno. Gli sputi. Le spinte. La tredicenne si rifugia in bagno. Si ripulisce e prende fiato. Torna per chiedere il perché di tanta furia. Le amiche con cui è arrivata al centro commerciale sono solo capaci di dirle, inutilmente, di scappare. E sono altre botte, altri sputi, altre offese. Viene costretta a inginocchiarsi e a supplicare il perdono. Nessuno interviene, nemmeno ora. Spuntano invece i cellulari. «Stavano per riprendere la scena per metterla su You Tube - azzarderà qualcuno - e non lo hanno fatto per evitare guai». La tredicenne pesta e umiliata torna in bagno. Piange. Cade, batte la testa, perde conoscenza. A soccorrerla, dando l'allarme, è una donna che la trova svenuta entrando nella toilette.

2° articolo (apparso su la Repubblica il 5 dicembre 2012):

"Sei anni di umiliazioni perché gay"
L'inferno a scuola di un ragazzo 
di PAOLO BERIZZI
UDINE - Un giorno nell'ora di matematica uno l'ha chiamato "Barbie". Adesso sorride. "Mica è brutta la Barbie, ma io sono un uomo, e sono felice di esserlo". Altri compagni, meno sofisticati, come in una gara di freccette si sfidavano a fare centro infilzando l'obiettivo con gli epiteti più triviali e banali. "Frocio". "Finocchio". "Checca". "Fenóli" (in dialetto friulano). In classe. "Lo scrivevano sulla lavagna, oppure via sms". Notevole quel "sei un errore della natura", qui siamo nelle scienze antropologiche, accompagnato da un benevolo "meriti tutta la sfiga del mondo". Sgombriamo il campo dallo stereotipo. Francesco (nome di fantasia) non è un "ragazzo col rossetto" o "coi pantaloni rosa". I suoi gesti non sono effeminati e dopo sei anni di insulti ha tirato fuori un carattere tosto, un muro frangiflutti contro la ridicolizzazione becera. Ha 20 anni, bel ragazzo, figlio unico, single, padre dirigente, mamma "artigiana alimentare". Frequenta l'ultimo anno "là dentro", che sarebbe l'istituto tecnico di Udine dove da quando aveva 14 anni lo prendono in giro perché è gay. Ha passato momenti difficili. Ora, seduto a un tavolo del circolo Arci "Mis (s) Kappa", fa coming out mediatico per combattere il bullismo omofobico. La stessa piaga che, forse - si indaga per istigazione al suicidio - è costata la vita di Andrea S., il quindicenne del liceo Cavour che a novembre si è impiccato in casa con una sciarpa.
Partiamo da Andrea.
"Fa male pensare che chi gli stava vicino non si sia accorto del suo disagio. Non è una critica ai genitori. Penso soprattutto, in questo caso, agli insegnanti".
I tuoi come si sono comportati? Quando i compagni ti insultavano sono intervenuti?
"Mai. Anzi, qualche insegnante si univa al coro: battutine, allusioni. Se un professore sa che in classe c'è un alunno omosessuale e scherzando con un altro alunno etero gli chiede "non hai la morosa, non sarai mica finocchio?", e tutti ridono, come posso sentirmi io?".
Quando hanno iniziato a insultarti?
"Primo anno, avevo 14 anni. Mi ero accorto di essere gay da due anni. Mi confido con una compagna, la mia migliore amica. Lei lo dice a un altro e si sparge la voce. E la palla di neve inizia a rotolare".
E per quanto rotola?
"Sei anni. Fino a oggi che ne ho venti. Posso dire che là dentro, a scuola, ho passato, anzi sto passando, gli anni peggiori".
Adesso come va?
"Non è che le battute sono finite, è che io reagisco. Dopo l'outing forzato della mia amica, ho subito per cinque anni. In silenzio. Me ne hanno dette e scritte di tutti i colori, un ragazzo una volta, uno che mi piaceva, mi ha detto "se fossi i tuoi genitori ti ripudierei come figlio". È la frase che mi ha ferito di più. Forse si è accanito per togliersi dall'imbarazzo di piacermi".
Come ti sentivi di fronte alle prime offese?
"Provavo odio, anche se è brutto dirlo".
Che cosa succedeva intorno a te?
"Gli omofobi non sono fantasiosi. Sto prendendo una cosa alle macchinette, uno si dà di gomito con un altro, un altro si mette le mani sul sedere, un altro cammina strisciando con la schiena sul muro. Col passare degli anni quell'ignoranza si è riprodotta autoalimentandosi".
Cioè?
"In terza mi bocciano e cambio classe. Penso: gente nuova, non ci si conosce, bòn... Me ne sto tranquillo sei mesi. I miei genitori non sapevano ancora niente. Ma mi vedevano sempre giù, preoccupato, depresso. Conosco una nuova amica, la mia ancora di salvezza. Mi dice: "parla coi tuoi genitori". Non ero pronto".
C'era la scuola, "là dentro", e c'era il fuori, la casa, i genitori, gli amici. Due mondi diversi?
"Sì. A qualche amico avevo iniziato a dirlo. A scuola era sempre la solita musica, la vedevo e la vedo ancora come il posto delle sofferenze, delle umiliazioni. Ma intanto avevo preso un po' più di sicurezza".
Quando l'hai detto ai tuoi genitori?
"Un anno e mezzo fa. Mi vedono sempre giù. Porto a casa una pagella disastrosa, seconda bocciatura. Mi chiedono: "cos'hai? ti droghi?" Mio padre fa: "sei gay? No". Un giorno arriva, prende un bel giro di parole per farmi la stessa domanda. A quel punto racconto. Lui si mette a piangere, ma è contento. "Finalmente dopo 18 anni conosco mio figlio". Prende contatti con l'Arci gay di Udine, mi dice: "Se un giorno ti va di fare due chiacchiere...". È stato un grande. Decidiamo, di comune accordo, che la cosa resta in famiglia".
Torniamo all'istituto tecnico. Insegnanti e preside che dicono quando i compagni ti prendono di mira?
"Niente. Fanno finta che il problema non esista. Mi sbatto per portare anche nella mia scuola il corso (tra i primi in Italia) organizzato dall'ufficio scolastico regionale e dall'Arci gay per sensibilizzare sul bullissimo omofobico. La preside dice: "Il fenomeno qui non esiste". Quando sa benissimo che non è così. C'è un'omertà diffusa".
Perché hai deciso di raccontare la tua storia (il primo a parlarne è stato il Messaggero Veneto), e perché chiedi che non si faccia il tuo vero nome?
"Voglio che chi sta soffrendo quello che ho sofferto io non si senta solo. Il mio nome non lo faccio perché i miei nonni farebbero fatica a accettarlo".
Saresti pronto a raccontare la tua storia anche al provveditore agli studi?
"Sì".

mercoledì 21 novembre 2012

Gli One Direction fanno ritorno!

POSTATO DA JASMINE E SOFIA:

Zaooooo! 
Ecco un bellissimo brano tratto dal nuovo album dei One Directon e si chiama:
SUMMER LOVE :D

http://www.youtube.com/watch?v=d164x2dT3ck 

E questa è un' altra canzone (Sempre dell' album!):

http://youtu.be/-pSUbrq84aE

BUON ASCOLTO!! e ZAOOOO 

combattere la paura degli esami...

http://youtu.be/OZBWfyYtYQY

domenica 18 novembre 2012

Viva l'italiano

POSTATO dal prof d’italiano:

Giovedì 15 novembre 2012 la Repubblica ha pubblicato questo articolo di Andrea Camilleri, lo scrittore che ha inventato il commissario Montalbano. Fa parte della Lectio magistralis che lo scrittore ha tenuto lo stesso giorno all’Università di Urbino “Carlo Bo”, dove è stato insignito della laurea honoris causa in Lingue. Leggetelo.


VIVA L' ITALIANO
Di Andrea Camilleri
Se all'estero la nostra lingua è tenuta in scarsa considerazione, da noi l'italiano viene quotidianamente sempre più vilipeso e indebolito da una sorta di servitù volontaria e di assoggettamento inerte alla progressiva colonizzazione alla quale ci sottoponiamo privilegiando l'uso di parole inglesi. E c'è di più. Un esempio per tutti. Mi è capitato di far parte, quale membro italiano, della giuria internazionale del Premio Italia annualmente indetto dalla Rai con sede a Venezia. Ebbene, il regolamento della giuria prevedeva come lingua ufficiale dei giurati quella inglese, senza la presenza di interpreti. Sicché uno svedese, un russo, un francese e un giapponese e un italiano ci trovammo costretti ad arrangiarci in una lingua che solo il rappresentante della BBC padroneggiava brillantemente. Va da sé che la lingua ufficiale, in Francia, del Festival di Cannes è il francese, la lingua ufficiale in Germania del Festival di Berlino è il tedesco. E il Presidente del Consiglio, parlando di spread o di spending rewiew è il primo a dare il cattivo esempio. Monti però non fa che continuare una pessima abitudine dei nostri politici, basterà ricordare parole come «election day», «devolution», «premier» e via di questo passo. Oppure creando orrende parole derivate tipo «resettare». Tutti segni, a mio parere, non solo di autosudditanza ma soprattutto di un sostanziale provincialismo. Piccola digressione. Il provincialismo italiano, antico nostro vizio, ha due forme. Una è l'esaltazione della provincia come centro dell'universo. E valgano i primi due versi di una poesia di Malaparte, «Val più un rutto del tuo pievano / che l'America e la sua boria»..., per dirne tutta la grettezza. L'altra forma è quella di credersi e di dimostrarsi non provinciali privilegiando aprioristicamente tutto ciò che non è italiano. Quante volte ho sentito la frase: «io non leggo romanzi italiani» o più frequentemente, «io non vado a vedere film italiani». Finita la digressione. Se poi si passa dalla politica al vivere quotidiano, l'invasione anglosassone appare tanto estesa da rendersi pericolosa. Provatevi a saltare da un canale televisivo all'altro (mi sono ben guardato dal dire «fare zapping»), vedrete che il novanta per cento dei titoli dei film o addirittura di alcune rubriche, sono in inglese. La stessa lingua parlano le riviste italiane di moda, di architettura, di tecniche varie. I discorsi della gente comune che capti per strada e persino al mercato sono spesso infarciti di parole straniere. In quasi tutta la strumentistica prodotta in Italia i sistemi di funzionamento sono identificati con parole inglesi. (...) A questo punto non vorrei che si cadesse in un equivoco e mi si scambiasse per un sostenitore dell'autarchia della lingua di fascistica memoria. Quando il celebre brano jazz «Saint Louis blues» diventava «Tristezze di san Luigi», il cognac «Arzente» e i cognomi della Osiris o di Rascel si dovevano mutare in Osiri e Rascele. Benvenuto Terracini sosteneva, e a ragione, che ogni lingua nazionale è centripeta, cioè a dire che si mantiene viva e si rinnova con continui apporti che dalla periferia vanno al centro. Un amico russo, molto più grande di me, andatosene via nel 1918 dalla sua patria e tornatovi per un breve soggiorno nel 1960, mi confidò, al suo rientro in Italia, che aveva incontrato molte difficoltà a capire il russo che si parlava a Mosca, tanto era infarcito di parole e di locuzioni operaie e contadine che una volta non avrebbero mai ottenuto cittadinanza nei vocabolari. Ma erano sempre e comunque parole russe, non provenienti da lingue straniere. In sostanza, la lingua nazionale può essere raffigurata come un grande, frondoso albero la cui linfa vitale viene risucchiata attraverso le radici sotterranee che si estendono per tutto il paese. È soprattutto dal suo stesso terreno, dal suo stesso humus, che l'albero trae forza e vigore. Se però il dosaggio e l'equilibrio tra tutte le componenti che formano quel particolare terreno, quell'unico humus, vengono alterati attraverso l'immissione di altre componenti totalmente estranee, esse finiscono con l'essere così nocive che le radici, esattamente come avviene in natura, tendono a rinsecchire, a non trasmettere più linfa vitale. Da quel momento l'albero comincia a morire. Se comincia a morire la nostra lingua, è la nostra stessa identità nazionale che viene messa in pericolo. È stata la lingua italiana, non dimentichiamolo mai, prima ancora della volontà politica e della necessità storica, a darci il senso dell' appartenenza, del comun sentire. Nella biblioteca di un mio bisnonno, vissuto nel più profondo sud borbonico, c'erano La Divina commedia, l' Orlando furioso e i Promessi sposi tutti in edizione pre-unitaria. È stata quella lingua a farlo sentire italiano prima assai di poterlo diventare a tutti gli effetti. Una lingua formatasi attraverso un processo di assorbimento da parte di un dialetto, il toscano, vuoi dal primigenio volgare vuoi da altri dialetti. Dante non esitava a riconoscere il fondamentale apporto dei poeti «dialettali» della grande scuola siciliana, e ricordiamoci che è stato il siciliano Jacopo da Lentini l' inventore di quella perfetta macchina metrica che è il sonetto. E in Boccaccio, in certe novelle geograficamente ambientate fuor da Firenze, non si coglie qua e là un'eco di quel dialetto parlato dove la novella si colloca? Perché da noi è avvenuta, almeno fino a una certa data, una felice coesistenza tra lingua nazionale e dialetti. Il padovano del Ruzante, il milanese di Carlo Porta, il veneziano di Goldoni, il romano di Belli, il napoletano di Di Giacomo, il siciliano dell'abate Meli hanno prodotto opere d'altissimo valore letterario che hanno arricchito la nostra lingua. La guerra che subito dopo l'Unità d' Italia si cominciò a combattere più o meno scopertamente contro i dialetti, e che raggiunse il suo apice negli anni del fascismo, è stata un'insensata opera di autodistruzione di un immenso patrimonio. Si è scioccamente visto il dialetto come un nemico della lingua nazionale, mentre invece esso ne era il principale donatore di sangue. Oggi paghiamo lo scotto di quell'errore. Abbiamo abbattuto le barriere e quei varchi sono rimasti pericolosamente senza difesa. La mia riflessione termina qui. Coll'augurio di non dover lasciare ai miei nipoti non solo un paese dal difficile avvenire ma anche un paese la cui lingua ha davanti a sé un incerto destino.


Nuovo presidente cinese

POSTATO dal prof d’italiano:

Forse in Cina sta cambiando qualcosa. Per chi ne è interessato, questi 2 articoli pubblicati su la Repubblica, il primo il 14 novembre, il secondo il 16 novembre 2012.

Xi Jinping è il più innovatore tra i conservatori. Le riforme che potrebbe avviare fanno paura al comitato centrale del partito. Che, per questo, l’ha blindato
Il Gorbaciov cinese

Di Giampaolo Visetti
PECHINO - Per il compagno Hu Jintao oggi è il giorno del congedo, l'attimo sospeso di massimo pericolo per un regime in cui l'uscita di scena non risulta sul copione. Mao Zedong morì imperatore. Deng Xiaoping impose la pensione a settant'anni, prima di essere risucchiato da comandante in capo nella tragedia di piazza Tienanmen. Jiang Zemin, privo di eredi, rimase segretario un anno di più e altri due al vertice delle forze armate: era il primo leader cinese a non aver fatto la rivoluzione, il primo privo del carisma per nominare il proprio successore. Ora tocca a Hu, il vuoto vestito di grigio, e per la prima volta la Cina prova ad essere un autoritarismo perbene. Le regole non ci sono, ma il partito-Stato le seguirà e il "principe rosso" Xi Jinping allo scoccare della mezzanotte entrerà da imperatore nella Città Proibita. Il 18° Congresso, che si chiude oggi a Pechino, è stato un' impressionante esibizione di ciò che è costretta ad essere una dittatura capitalista di successo al tempo dei social media. Capitale blindata, vietato portarsi in giro palline da ping pong, internet sotto sequestro, piccioni chiusi in gabbia e seconda economia del mondo in ostaggio di censura e propaganda. A giornali e tivù è stato ordinato di dare solo notizie entusiasmanti e di glorificare il «decennio d'oro» dello «sviluppo scientifico» di Hu Jintao e del premier Wen Jiabao. A seguire «l' evento politico più importante del decennio», 1.700 giornalisti di tutto il mondo. È chiaro che con branchi di cronisti gonfi di thé, sono necessarie conferenze stampa quotidiane. Il problema è che nessuno tra i 2.270 delegati del Congresso aveva il permesso di parlare. Qualcuno ha risposto leggendo pezzi del discorso d'addio di Hu Jintao: «Seguiremo i temi approvati dal partito per promuovere le riforme». Altri hanno pregato di non fare domande. Altri ancora si erano fatti approvare due righe da leggere: «Sono il segretario del partito di Tianjin. Le mie responsabilità sono di studiare seriamente e di discutere lo spirito...». Ai delegati selezionati per i video, sono state poste domande preparate che potevano dare l'illusione di una polemica: «Signor zio, le merendine si possono mangiare tranquillamente vero?». È su questa terrificante prova di autocontrollo collettivo, senza che uno solo degli 1,4 miliardi di cinesi sia riuscito ad avvicinarsi al mausoleo di Mao con un foglietto di blandissima protesta, che irrompono oggi il leader del futuro, la quinta generazione dei comunisti di mercato e i funzionari in Audi nera che già si preparano a comandare, dal 2022 al 2032, quella che sarà la prima potenza del pianeta. E se il Congresso, come da statuto, non poteva assumere alcuna decisione, limitandosi a ratificare le promozioni decise dai capi a riposo, gli interminabili interventi del Comitato centrale hanno eretto al contrario un'invalicabile «Grande Muraglia»: l'incubo contemporaneo della Cina è che da domani il misterioso Xi Jinping, conservatore progressista, cominci a rivelarsi un «nuovo Gorbaciov». Alla vigilia dell'annuncio che vale assai più di Barack Obama alla Casa Bianca, ossia dei nove o sette nomi a cui per i prossimi dieci anni l'umanità chiede di tenere acceso il motore della crescita, il sinistro marchio «nuovo Gorbaciov» è risultato pubblicamente impronunciabile, ma ha segnato il dietro le quinte della lotta più spietata per il potere che la Cina abbia subìto dalla dipartita del Grande Timoniere. Poche ore e tutti sapranno fino a che punto Hu Jintao verrà umiliato, perdendo subito anche la presidenza della Commissione militare centrale, se Wen Jiabao, travolto dalla parentopoli di famiglia, farà la fine di Bo Xilai, epurato con l'accusa di essere l'ultimo maoista del Paese. Se hanno prevalso gli appetiti tradizionali dei "principi rossi" o gli affari più sofisticati della Lega della Gioventù comunista, i titoli della Borsa di Shanghai o gli appalti lungo gli anelli di Pechino, i cosiddetti riformisti o gli autocertificati conservatori. Dopo sessantatrè anni di socialismo militarizzato tutto può perfino essere tollerato, se non minaccia la stagnazione dell'apparato: tutto ma non un enigmatico gigante bonaccione, coniugato con una star del folk, che si metta in testa di passare alla storia come il Gorbaciov dell'Asia, scatenando la rivoluzione dall'alto per trasformare la Cina in una replica dell' Occidente. Momenti storici e situazioni interne non paragonabili, tra Mosca e Pechino. Ma dentro un'oligarchia legittimata dall'obbedienza del partito e dalla fedeltà dell'esercito, e non da un libero mandato popolare, il rischio di una "svolta democratica" capace di calmare una popolazione sempre più indignata da corruzione del potere e disparità tra ricchi e poveri, è lo spettro con cui il Congresso è stato costretto a confrontarsi. L'ultimo discorso di Hu Jintao da segretario generale, auto-difesa di tutta la nomenclatura rossa, è stato il manifesto dell'anti-perestrojka cinese: partito unico in eterno, no all'imitazione dell'America, consolidamento dell'economia di Stato, ma pure via libera al mercato, obbligo di raddoppio del Pil e benessere per tutti. Come se Pechino volesse segnalare che oggi sarebbe più conveniente se Usa e Ue si cinesizzassero almeno un po', piuttosto che vedere una Cina tardivamente contagiata dalla sindrome dell'Urss. I candidati scelti ieri per il Comitato centrale, che elegge oggi i venticinque del Politburo, gli immortali del Comitato permanente e i dodici intoccabili della Commissione militare centrale, hanno fatto il possibile per mettersi al riparo da quella che le autorità definiscono putinianamente «una catastrofe». L' americano Bo Xilai, neo-profeta del leaderismo mediatico etichettato come nostalgico della canzoni proletarie, è al sicuro e in attesa di processo. Xi Jinping può così prendere le redini del partito a vent'anni dalla morte del padre, epurato e riabilitato eroe della rivoluzione, sotto la tutela dei generali e grazie alla garanzia dell'ottantaseienne Jiang Zemin. «Primus inter pares», è stato cinturato da un collegio cardinalizio a prova di sorprese: parola d'ordine «stabilità». Solo l'avvocato Li Keqiang, premier dal prossimo marzo e unico superstite della banda di Hu, è accreditato di accettabili dosi di riformismo, almeno economico. Congelato il sistema, il leader uscente dovrebbe dunque annunciare oggi anche il suo clamoroso addio alle armi, dimettendosi contemporaneamente da esercito e partito, per la prima volta nella storia cinese, a riprova di quanto Pechino sia in allarme per la sicurezza interna e per i venti di guerra che soffiano tra i vicini di casa e sul Pacifico. «La situazione globale - ha confidato un delegato che ha passato la selezione per il Comitato centrale - non consiglia alla Cina di restare, come in passato, un paio d'anni con due centri di potere». Stop al gorbaciovismo confuciano, ma scelte nette: percentuali maggiori di «democrazia interna al partito», una sorta di "primarie" chiuse e riservate per selezionare i leader del futuro, test elettorali nei villaggi, sondaggi popolari preventivi per stabilire il livello di opposizione di massa alle grandi opere e target predefiniti per la crescita del Pil. Altrettanto insuperabili, almeno per due generazioni, i quattro no affidati da oggi a Xi Jinping: no al multipartitismo elettorale, no a indipendenza o autonomia per le regioni ribelli di Tibet storico e Xinjiang, no al riconoscimento dei crimini di Mao e del massacro di piazza Tienanmen, no alla libertà di espressione e alla liberazione dei dissidenti. Il vecchio sovrano Hu Jintao esce oggi di scena con la mesta dignità nazionale di chi si è limitato a non sperperare il patrimonio di famiglia. Il nuovo imperatore Xi Jinping sale oggi sul trono della Cina con il trionfante mandato globale di riformarla per non cambiarla: di seppellire Lenin e Mao, ma senza diventare Gorbaciov.



Cina, via falce e martello
Inizia l' era di Xi Jinping

Di Giampaolo Visetti
PECHINO - Se al suo fianco ci fosse stata Peng Liyuan, moglie cantante e generale, la Cina avrebbe sperato e temuto di assistere all'esordio di un'altra rivoluzione e di aver definitivamente contratto il virus dell'America. Xi Jinping, presidente il prossimo marzo, ha assunto i pieni poteri del Paese, ma a questo dettaglio solo i riformisti sconfitti del 18° Congresso hanno badato. Perché la Cina e il resto del mondo hanno assistito ieri a un evento straordinario. Sul palco prossimo alla Grande sala del popolo è salita infatti l'immagine di ciò che nei prossimi dieci anni la seconda economia del pianeta è decisa a diventare. Programma: primo discorso del nuovo segretario generale del partito comunista. I leader di Pechino sono sempre stati la replica dei monarchi rossi di Pyongyang: robotici, inespressivi e muti, una mano paralizzata a salutare il vuoto. Nel palazzo affacciato su piazza Tienanmen, è invece atterrata ieri quella che ai cinesi è sembrata l'incarnazione di un extraterrestre, il fantasma di Barack Obama imprigionato nel sosia di Mao Zedong. Il nuovo imperatore della Cina non ha detto nulla di diverso dal discorso d'addio di Hu Jintao. Ma il "come" ha deciso di essere, ha reso evidente che il "principe rosso" scelto per trasformare la nazione nella superpotenza del secolo, non si accontenterà di fare due passi nella Città Proibita. Alla testa degli altri promossi nel comitato permanente del Politburo, Xi Jinping non ha mai smesso di sorridere, ha presentato i sei compagni, si è scusato del ritardo e ha assunto gli impegni attesi con la noncuranza attenta che tradisce la certezza di una parola che verrà mantenuta. Dietro di lui sono scomparse bandiere rosse e la grande falce con martello, coreografia di Hu Jintao. Xi ha parlato davanti a un enorme quadro con montagne e cascate d'acqua. Capelli tinti e imparruccati di nero, come tutti i funzionari, ma il suo modo di indossare la nuova divisa dell'autorità, vestito blu, camicia bianca e cravatta rossa, è stata la prima lezione di "riforma del sistema politico" a cui la Cina abbia assistito. Colletto storto, nodo della cravatta troppo stretto, giacca larga, busto di traverso: ha parlato a braccio , usando con fiducia anche le parole logore contro la corruzione e non ha nascosto il bisogno di un contatto emotivo con compatrioti e stranieri che lo stavano ascoltando. Sul trono del partito-Stato è salito cioè un leader contemporaneo fedele all'ortodossia di Deng Xiaoping, ma che trasmette l'attrazione per il mondo che si estende oltre la Grande Muraglia. Le telecamere non smettevano di riprendere la nuova icona politica dell'intreccio globale: manifesto di un'ambizione e riscatto di una biografia, ma prima di tutto l'annuncio che in Cina il vento sta cambiando. Senza sorprese il resto. Il 18° Congresso ha pensionato il 50% dei funzionari e aperto a una generazione nuova di dirigenti. Il comitato centrale è andato ai "principi rossi", che hanno prevalso sugli allievi della Lega della gioventù comunista. Gli autodichiarati conservatori hanno polverizzato chi si definisce riformista. Stop a "grandi balzi in avanti". Nel Comitato permanente, ridotto da nove a sette posti per dare meno noia a Xi Jinping, sono entrati i protetti dei grandi vecchi del partito e del redivivo Jiang Zemin. Li Keqiang, unico discepolo di Hu Jintao, succederà all'emarginato Wen Jiabao come premier. Nella stanza dei bottoni: Zhang Dejiang, sostituto dell'epurato Bo Xilai a Chongqing, Yu Zhengsheng, capo di Shanghai, Liu Yunshan, architetto di censura e propaganda, Wang Qishan, esperto di finanza eletto sceriffo anti-corruzione, e Zhang Gaoli, segretario di Tianjine grande sponsor degli investimenti stranieri. A comandare gli interessi di Pechino, Tianjin, Shanghai e Chongqing, più un uomo dei conti e uno della sicurezza. Solo nel Politburo i sovraesposti Wang Yang, profeta del Guangdong, e Liu Yandong, che non sarà la prima donna tra gli "immortali" del partito. In pensione gli altri big, seguiti presto da Zhou Xiaochuan, governatore della banca centrale. Hu Jintao è stato anche costretto a lasciare subito a Xi Jinping la guida della Commissione militare centrale. Significa che una Cina con l'economia in affanno non può permettersi due centri di potere e che la corsa al riarmo, nel Pacifico, è una priorità. Così quando il nuovo ad della globalizzazione in crisi si è avviato verso l'uscita del palazzo, ognuno ha avvertito quanto questa montagna di potere, quel mostro asiatico definito comunismo di mercato, gli stiano stretti. Nessuno sa da dove, né come e per quale fine si sia scatenata l'ascesa di Xi Jinping, vaticinata dalla famosa t-shirt di "Obamao". Però da ieri è certo che tra dieci anni in Cina poche cose saranno come oggi appaiono. Immobili, ma avanti. Poche certezze: molte, molte, molte speranze.