Sabato scorso (22 ottobre 2011) abbiamo discusso in classe della morte di Gheddafi: avevamo idee diverse sull'accaduto ed è giusto che sia così.
Oggi su la Repubblica il consueto editoriale domenicale di Eugenio Scalfari ha affrontato in poche righe il problema; poichè mi sembrano parole importanti, le riporto qui:
«L'uccisione di Gheddafi, la fine della guerra in Libia e il difficile assetto di quel Paese hanno dominato le pagine dei giornali e gli schermi delle televisioni. Non ho esperienza di quei problemi e quindi non me ne occuperò, ma voglio dire che cosa penso della feroce esecuzione del dittatore libico mentre fuggiva da Sirte sulla strada che conduce a Misurata. Concordo con tutti quelli che hanno riprovato la ferocia; bisognava consegnarlo alla Corte di giustizia internazionale per un regolare processo sebbene la stessa Corte, la Nato e i comandi militari del governo provvisorio dei ribelli ne avessero chiesto la cattura "vivo o morto".
Quando cade un tiranno che ha terrorizzato e insanguinato un Paese per anni ed anni, la tentazione del lingiaggio è incontenibile e talvolta colpisce perfino degli innocenti supposti colpevoli. Figurarsi quando la colpevolezza è palese e si è macchiata di delitti orribili. Se poi l'autorità legale è debole - come ancora lo è nella Libia di oggi - manca ogni possibilità d'impedire il giudizio sommario. La storia è purtroppo piena di queste esplosioni di rabbia incontenibile e incontenuta, sicché dolersene è doveroso ma stupirsene no.»
Poiché nel discorso di ieri in classe ho fatto riferimento a piazzale Loreto, dove il corpo già morto di Benito Mussolini venne prima preso a calci dalla folla inferocita e poi appeso per i piedi a una pensilina, pubblico qui un'immagine di quel momento. Confrontata con quelle attuali di Gheddafi, evidenzia la somiglianza della situazione.
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