mercoledì 14 marzo 2012

3 brani da "Il mulino sulla Floss"

POSTATO dal prof d’italiano:

Come già ho scritto in un post precedente, in questo periodo sto leggendo “Il mulino sulla Floss” di George Eliot; è un tipico romanzone ottocentesco, che racconta una storia famigliare nel corso di alcuni anni. Qua e là vi sono delle pagine molto interessanti (di carattere storico e morale) che voglio condividere con voi. Ho cercato di accompagnare i testi con immagini adeguate.

BRANO 1:
L’autrice descrive le diverse impressioni suscitate in lei dal corso di 2 grandi fiumi europei, il Rodano e il Reno (che sicuramente sapete dove si trovano; se no, guardate la cartina qui sotto – ho evidenziato i 2 fiumi in rosso): nel primo vede la vita miserabile di gran parte dell’umanità, nel secondo la terribile grandezza dei feudatari del Medioevo, fatta di crudeltà e di imprese eroiche.

«Scendendo lungo il Rodano un giorno d’estate, vi sarà forse capitato di sentire la luce del sole immalinconita da quei villaggi in rovina che costellano le sponde in alcuni tratti del corso, e raccontano come un tempo il rapido fiume si sia levato come un dio distruttore in preda alla collera, spazzando via le deboli generazioni il cui alito di vita è nelle narici e devastando le loro abitazioni. Che contrasto singolare, avrete forse pensato, tra l’effetto prodotto su di noi da queste tristi rovine di case qualunque, che nei loro giorni migliori furono nient’altro che il segno di una miserabile vita, appartenente in ogni suo dettaglio alla nostra éra volgare; e l’effetto prodotto dai ruderi dei castelli sul Reno, che si sono sgretolati e addolciti in tale armonia con i verdi e rocciosi pendii che, come il pino montano, paiono fondersi in maniera del tutto naturale col paesaggio: anzi, già al tempo in cui vennero costruiti dovettero essere in tale armonia, come se fossero stati eretti da una razza nata dalla terra, che avesse ereditato dalla sua potente genitrice un sublime istinto della forma. Erano quelli tempi romanzeschi! E se quei rapaci signorotti erano un po’ degli orchi spietati e ubriaconi, dovevano tuttavia possedere una certa grandeur della belva: erano cinghiali dei boschi con le zanne, che laceravano e squarciavano, e non certo il comune maiale domestico; rappresentavano le forze demoniache eternamente in lotta con la bellezza, la virtù, e le cortesi usanze della vita; e ben contrastavano, nel quadro, con il menestrello errante, la principessa dalle labbra delicate, il pio eremita, e il timoroso israelita. Quello fu un tempo pieno di colore, in cui la luce del sole batteva sulle spade lucenti e su fluttuanti stendardi; un tempo di avventure e di feroci battaglie; non solo, di viva arte religiosa e religioso entusiasmo; giacché non furono innalzate le cattedrali proprio in quei giorni? E i grandi imperatori non lasciarono i loro palazzi occidentali per trovare la morte sotto le roccaforti degli infedeli nel sacro Oriente? Ecco perché questi castelli renani mi emozionano, e mi infondono un senso di poesia: essi appartengono alla grandiosa vita storica dell’umanità, ed evocano in me la visione di un’epoca. Al contrario, questi angolosi scheletri di villaggi sul Rodano, dalle tinte spinte e gli occhi incavati, mi opprimono con la sensazione che la vita umana, per gran parte, è un’esistenza brutta, grama, spregevole, che nemmeno la calamità riesce a nobilitare, ma tende semmai e rivelarne la natura in tutta la sua nuda volgarità; e ho la crudele convinzione che le vite di cui queste rovine recano traccia, facessero parte di una massa enorme di oscura vitalità, che cadrà nel medesimo oblio con le generazioni di formiche e di castori.»
Castello sul Rodano
Castello sul Reno

BRANO 2:
Qui l’autrice fa un confronto (ambientato nell’Inghilterra della rivoluzione industriale) tra le classi sociali elevate (tutte ricchezza, ozio e ironia) e la gente comune, che suda faticosamente per mettere insieme un giorno con l’altro, affrontando tutti gli aspetti della vita con enfasi, cioè dando eccessiva importanza ad essi.

«La buona società ha il suo chiaretto e i tappeti di velluto, i suoi impegni a pranzo fissati sei settimane prima, la sua Opera e le sue fiabesche sale da ballo; fugge la noia su cavalli purosangue, ozia nei club, deve tenersi alla larga dai vortici di crinolina, delega le scienze a Faraday e la religione al clero superiore, i cui rappresentanti si incontrano nelle migliori case: come potrebbe trovare il tempo per la fede e per l’enfasi, o sentirne il bisogno? Ma la buona società, che fluttua sulle ali finissime dell’ironia lieve, è un prodotto molto costoso; essa richiede niente di meno che una vita nazionale faticosa ed estesa, ammassata in fabbriche maleolenti e assordanti, strisciante nelle miniere, che suda alle fornaci, macina, martella e tesse più o meno soffocata dall’acido carbonico; oppure, sparsa per i pascoli, e disseminata in case e capanni isolati su terreni argillosi o cretacei, dove i giorni di pioggia paiono malinconici. Quest’estesa vita nazionale è interamente fondata sull’enfasi: l’enfasi del bisogno che la incalza a compiere tutte le attività necessarie per il mantenimento della buona società e della lieve ironia. Essa trascorre spesso i suoi anni faticosi al freddo e su nudi pavimenti, nella discordia familiare non mitigata da lunghi corridoi.»
Alta società inglese

Operai in fabbrica

BRANO 3:
Si tratta di una breve frase molto interessante per me, che faccio l’insegnante; si riferisce a uno dei protagonisti del romanzo, che è stato costretto dal padre a studiare alcune discipline con scarsi risultati.

«Per far crescere e prosperare la stupidità non c’è nulla di meglio che inondare la mente di una gran quantità di materie per cui non prova alcun interesse.»


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