POSTATO dal prof d’italiano:
Cari ragazzi, permettetemi questo post molto personale.
Poche volte nella mia vita mi è capitato di rimanere profondamente colpito dalla morte di un personaggio pubblico: la prima, e più forte, è stata la morte di John Lennon, di cui ero (e sono) un fan sfegatato.
La seconda è oggi; ho appena letto sul giornale che ieri è morto, ucciso travolto da una moto, il regista cinematografico greco Theo Angelopoulos. Aveva 76 anni ed era un poeta della pellicola. Ha fatto film cosiddetti “d’autore”, cioè film difficili, di quelli che uno non va a vedere per passare 2 ore, ma per imparare qualcosa e per trovare un punto di vista diverso sulla realtà, sulla vita, sulla storia.
Ricordo ancora con piacere il coinvolgimento emotivo e intellettuale che mi procurò la visione del primo film da lui diretto, che ebbi modo di vedere al cinema. Ero all’università, a Padova, alla fine degli anni ’70 e il cinema era una sala di periferia, ben poco accogliente, che aveva il pregio di programmare film non commerciali, che altrove non si riusciva a vedere e che perciò era sempre pieno di studenti. Il film si intitolava “La recita”, era in originale con i sottotitoli e durava quasi 4 ore. Mi impressionò tantissimo, non solo per l’argomento (un gruppo di attori girovaghi mette in scena un’opera in giro per la Grecia, in un arco di tempo che va dalla Seconda guerra mondiale ai primi anni Cinquanta; in questo modo il regista racconta una decade di storia greca), ma anche, e forse soprattutto, per il modo in cui il film era fatto. Anghelopoulos è stato, infatti, il regista che più e meglio di altri ha usato il “piano sequenza”, una tecnica secondo la quale una scena può durare anche 15 minuti senza alcuna interruzione, senza uno stacco di montaggio. Nel suo caso non era solo una tecnica filmica, ma acquistava un senso ideologico, morale e psicologico di profonda intensità.
Non chiedetemi di farvi vedere un suo film: sono film troppo difficili per dei ragazzi, però, quando sarete grandi e avrete voglia di guardare qualcosa di insolito, qualcosa che vi faccia riflettere ed emozionare, se vi capita, cercate tra i suoi titoli; magari non vi piaceranno, però sono sicuro che riuscirete a riconoscere l’originalità di questo regista.
Morto ieri a 76 anni per emorragia cerebrale, dopo essere stato investito ad Atene da un motociclista. Quant’è strana la vita!
I film che ha fatto (entro parentesi il titolo originale):
Ricostruzione di un delitto (Anaparastasi) (1970)
I giorni del '36 (Meres tu '36) (1972)
La recita (O thiasos) (1975)
I cacciatori (1977)
Alessandro il Grande (Megalexandros) (1980)
Viaggio a Citera (1984)
Il volo (O melissokomos) (1986)
Paesaggio nella nebbia (Topio stin omichli) (1988)
Il passo sospeso della cicogna (Les pas suspendu de la cigogne) (1991)
Lo sguardo di Ulisse (To vlemma tou Odyssea) (1995)
L'eternità e un giorno (Mia eoniotita kai mia mera) (1998)
La sorgente del fiume (2004)
Chacun son cinéma (2007) Episodio Trois minutes
La polvere del tempo (2009)
In questo periodo stava girando il suo nuovo film, intitolato L’altro mare
La copertina della videocassetta italiana del film “La recita”
P.S.
A completamento del mio post, pubblico un breve articolo, trovato su la Repubblica di oggi (29 gennaio 2012):
E il cinemino si illuminò
Di Natalia Aspesi
Era il 1975 e in concorso al Festival di Cannes c’erano tre film italiani, persino Yuppi Du di Celentano. Vinse un film algerino, miglior attore il nostro Gassman. Fuori festival ufficiale, relegato in un cinemino, davano un film greco, di un tale Angelopoulos non ancora quarantenne, noto solo ai cinefili più agguerriti. Intitolato O’ thiasos, (da noi La recita), durava tre ore e quaranta minuti e i pochi che erano andati a vederlo rinunciando al concorso capirono subito di trovarsi davanti a uno di quei capolavori epocali che molto raramente, e sempre meno, illuminano il cinema. Raccontava la tragedia della dittatura greca, dal ’39 al ’52, attraverso la realtà e la rappresentazione teatrale di una troupe di girovaghi, avanti e indietro nel tempo e nei luoghi, sino a trasformare gli eventi nella memoria dolorosa di un intero popolo. Poetico, simbolico, realista, epico, marxista, il film ebbe poi un commosso successo di pubblico, essendo quelli tempi in cui il cinema politico, naturalmente antifascista e di sinistra, riempiva le sale. Chi l’ha visto ha ancora dentro di sé, il lungo, estenuante silenzio che accompagna l’interminabile stupro di un gruppo di militari sul corpo abbandonato di una giovane donna.
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