sabato 31 dicembre 2011

BUON ANNO A TUTTI

POSTATO dal prof d'italiano:

BUON ANNO A TUTTI QUELLI CHE VEDONO QUESTA PAGINA
con alcune vignette trovate nei giornali di oggi:

ALTAN:

BUCCHI:


ELLE KAPPA:


GIANNELLI:


STAINO:


VAURO:

venerdì 30 dicembre 2011

Oroscopo per il 2012

POSTATO dal prof d’italiano:

Purtroppo c’à ancora molta gente che crede nell’oroscopo e molti giornali (anche seri) che lo pubblicano. Per esempio la Repubblica, che è il mio quotidiano da quand’ero all’università. E dire che questo quotidiano pubblica ogni anno, in questo periodo, un articolo su quanto l’oroscopo sia una balla colossale, ma poi, nel settimanale il Venerdì, pubblica a fine anno l’oroscopo per l’anno nuovo. A farlo è una signora che si chiama Horus, per la quale, poveretta,  provo una grande pena. Nel numero di oggi ha pubblicato l’oroscopo per il 2012; ne ho estratto alcune frasi per farvi capire quanto siamo a livello di seri problemi psichici, oppure di una spudorata presa per i fondelli:

ARIETE
… i nati nella prima decade saranno soggetti tutto l’anno a incontri e scontri imprevisti, che riplasmeranno la loro vita interiore, determinando però di conseguenza anche cambiamenti materiali: saranno possibili decisioni importanti, come matrimoni, divorzi, figli…

TORO
… per quanto riguarda la salute, i malanni tipici di questo segno sono i disturbi alla gola, alla voce e alle vie respiratorie. Ma, per evitarli, spesso vi basterà essere cauti, soprattutto se riuscirete anche a dedicarvi a uno sport…

GEMELLI
… per i più giovani non mancheranno incontri eccitanti, che, anche se non daranno vita a rapporti eterni, costituiranno conferme gratificanti e piacevoli novità… [attenzione] alla parte alta della colonna vertebrale, che non va messa a rischio con attività spericolate o passatempi rischiosi…

CANCRO
… specie per i più giovani, sarà l’amore il settore nel quale vivere un’atmosfera di cambiamenti radicali, che potrà manifestarsi in rotture improvvise di rapporti apparentemente solidi, ma in realtà usurati…

LEONE
… per chi non è più giovanissimo potrà esserci l’esigenza di una migliore collocazione nella professione… non è però neppure esclusa la possibilità di un pensionamento vantaggioso, da non rinviare…

VERGINE
… Marte spingerà i più giovani verso l’amore e il sesso, mostrando occasioni impreviste, che però si riveleranno spesso transitorie e, in certi casi, rappresenteranno vere illusioni…

BILANCIA
… per i più giovani, un destino gentile ma rigoroso farà sentire la sua influenza soprattutto nella vita di relazione, offrendo nuovi incontri d’amore, però solo dopo la dolorosa rottura di rapporti precedenti…

SCORPIONE
… Si consiglia un attento controllo degli organi sessuali, soprattutto a chi ha una vita intima molto intensa…

SAGITTARIO
… i più giovani saranno attirati da facili incontri, spinti dal desiderio di amore o di sesso, ma anche dal bisogno di socializzare…

CAPRICORNO
… Plutone potrebbe arricchire la vita quotidiana […] soprattutto dei più giovani, con amori improvvisi e violenti, destinati a sconvolgere l’equilibrio preesistente, e anche a imporre non facili cambiamenti di partner…

ACQUARIO
… sono possibili disturbi alle giunture, quindi sarà meglio evitare di praticare con troppo entusiasmo sport che sottopongono a un’eccessiva pressione ginocchia, gomiti, caviglie e polsi… per evitare problemi di salute, basterà avere qualche semplicissima cautela: un abbigliamento elegante ma caldo eviterà per esempio di dover rinunciare al piacere dello sci…

PESCI
… i più giovani, se già in coppia, potrebbero sposarsi o avere un figlio desiderato, trovando così un equilibrio lungamente atteso… abbiate invece tutti cura nella scelta di creme, profumi, sciarpe e accessori diversi che soddisfino il vostro bisogno di continui cambiamenti…

PER FINIRE:
Vi rendete conto delle banalità? I più giovani potrebbero far sesso e i più vecchi aver desiderio di andare in pensione (di questi tempi, poi!).
Parafrasando l’oroscopo dello Scorpione, io consiglierei a Horus “un attento controllo degli organi cerebrali, soprattutto a chi ha una vita razionale molto poco intensa”.

Giovanotti! Giovanotti!

POSTATO dal prof d’italiano:

Giovanotti! Giovanotti! Bisogna aver pazienza con essi, lasciarli fare a modo loro perché mettano giudizio!

Questa frase non è mia, l’ho trovata nel libro che sto leggendo in questo periodo.
Un + sul registro al primo che mi sa dire:
1-     Il titolo del libro
2-     L’autore
3-     Il periodo in cui il libro è stato scritto
Buon lavoro!

giovedì 29 dicembre 2011

I cervi del Cansiglio

POSTATO dal prof d’italiano:

Per chi ama la natura, i boschi, il nostro Cansiglio, questo articolo pubblicato da la Repubblica il 19 dicembre 2011.

Il paradiso perduto di Bambi
"Troppi, la metà verrà abbattuta"
Di Jenner Meletti

PIAN DEL CANSIGLIO (BELLUNO) - È bellissima, la cerva che appare nel bosco. Per qualche minuto guarda gli umani scesi dalla Land Rover poi tranquilla si rimette a mangiare un piccolo abete rosso. «È una pianta durissima, questo abete. Se lo tocchi ti pungi. Ma ormai nel bosco ai cervi non è rimasto nient'altro. Questo è il loro paradiso, anzi lo era», dice Michele Bottazzo, laurea in Scienze forestali, responsabile della ricerca faunistica per Veneto Foreste, l'azienda della Regione che gestisce questa area demaniale. «Purtroppo i cervi sono troppi e molti dovranno essere abbattuti». Cerca le parole giuste, il tecnico degli animali e delle foreste. Sa che quando si parla di cervi il pensiero va a Bambi, ai cacciatori cattivi che bruciano il bosco e sparano... «Quando mi sono laureato, 25 anni fa, mai avrei pensato che la fauna potesse diventare un problema. Erano bellissimi, i nostri boschi dove cervi e caprioli vivevano assieme e accanto a loro c'erano i galli cedroni e i francolini di monte nascosti fra i cespugli di ginepro e di lamponi... Adesso sono rimasti solo i cervi e sono troppi. Se stiamo a guardare, in pochi anni questi animali distruggeranno tutto il bosco, si ammaleranno e moriranno di fame. Per questo dobbiamo fare gli abbattimenti. E i numeri, purtroppo , sono molto pesanti». È tutto scritto in un programma di 60 pagine, chiamato "Piano di controllo del cervo nel comprensorio del Cansiglio, 2011- 2013». È già stato approvato dalla Regione Veneto e ha ricevuto il parere positivo dell' Ispra, l' Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale. Si calcola che nel Cansiglio siano presenti 3.000-3.200 cervi e si scrive che almeno 400 all'anno dovranno essere uccisi. Nei tre anni gli abbattimenti dovranno raggiungere la cifra compresa fra i 1.200 e i 1.400 capi. «Dovremo dimezzare la popolazione, che negli ultimi 6-7 anni è raddoppiata. I cervi, senza nessun intervento, aumentano ogni anno del 30-35%. Qui da noi solo del 15%, perché quando in inverno escono dalla zona protetta circa il 20% vengono uccisi dai cacciatori delle riserve alpine. Per rispettare il piano dovremo dare a questi cacciatori la possibilità di prelevare altri 400 o più cervi all'anno,e dovremo anche intervenire nell'area protetta, con 40 prelievi all'anno. Qui da noi interverranno i forestali in divisa. Quest'ultima operazione è anche una forma di dissuasione. I cervi sono animali intelligentissimi. Se sentono gli spari, se vedono i loro simili uccisi, capiranno che il Cansiglio non è più un'area sicura e cercheranno di fuggire in altri boschi». Non è stato facile preparare il piano, perché la foresta del Cansiglio è divisa fra tre province (Belluno, Treviso e Pordenone) e due Regioni, il Veneto e il Friuli. «Siamo costretti a intervenire - racconta Michele Bottazzo - anche perché i cervi entrano nelle aziende che hanno i terreni in concessione e tolgono il foraggio destinato alle mucche. Solo l'anno scorso abbiamo dovuto rimborsare più di 50.000 euro per danni». Fabio Sperti, operatore forestale di Veneto Agricoltura, è la guida nel breve viaggio nel "disastro" combinato dai tremila cervi. «Ecco, guardi questo abete. Fino all'altezza di due metri è scorticato e presto morirà. Le madri con le zampe abbassano i rami più alti per farli mangiare ai piccoli. Guardi questo che era un bosco. Sono spariti tutti i piccoli alberi in "rinnovazione", cioè in crescita. Non c'è più l'abete bianco, più dolce di quello rosso, non c'è traccia di frassini, faggi, sorbo. Il sottobosco è scomparso e qui c'era pieno di lamponi, fragole, ginepro. Piante che con i loro frutti davano da mangiare al gallo cedrone e al francolino di monte. Dieci anni fa i caprioli erano la metà dei cervi. Adesso sono scomparsi tutti, perché i cervi - i maschi arrivano a 180-200 chili - sono più forti e hanno preso tutto il cibo». Si è provata anche la "dissuasione", nei boschi del Cansiglio. «Abbiamo chiamato i Forestali - dice Michele Bottazzo - che hanno sparato dardi a salve che però scoppiano a contatto con gli animali e li spaventano. Non è servito a nulla. Abbiamo provato a recintare pezzi di bosco e di prati ma i cervi, spinti dalla fame, riescono ad abbattere pali e filo spinato. Le aziende agricole stanno impiantando recinzioni elettriche ma il risultato non sarà positivo: i cervi saranno costretti a rimanere nel bosco e lo devasteranno. E per muoversi passeranno per le strade, con gravi pericoli per tutti. Per mostrare la differenza fra il bosco con o senza cervo, abbiamo sbarrato piccoli pezzi di "rinnovazione". Ecco, dentro i piccoli recinti gli abeti sono alti due metri, fuori non raggiungono il metro: sono e resteranno dei bonsai perché il cervo ne mangia le cime». Certi particolari del «piano di controllo» fanno impressione. Dovranno essere abbattute soprattutto le femmine e i piccoli sotto i 12 mesi, così si ferma la crescita. Si comincerà a sparare nei prossimi giorni fuori dal Cansiglio e a primavera dentro la foresta protetta. «Qui c'era il paradiso. La presenza del cervo ha aiutato anche il turismo. Nella stagione dei bramiti e degli amori, a fine settembre e primi di ottobre, arrivano migliaia di appassionati e i giovani delle cooperative guide naturalistiche trovano lavoro. Si riempiono gli hotel, i rifugi e le osterie di tutto il comprensorio. Ma il paradiso adesso si è rotto. Se non dimezzeremo i cervi i boschi diventeranno un deserto. E il deserto non dà da mangiare a nessuno».


Oliver Twist: la vera storia

POSTATO dal prof d’italiano:

Se non sapete quale libro leggere (oltre a quelli del gioco del libro) e se non l’avete ancora letto, vi consiglio questo classico: “Le avventure di Oliver Twist” di Charles Dickens (di cui, tra l’altro, si ricorderà nel 2012 il secondo centenario della nascita). Nel frattempo leggete anche questo articolo apparso su la Repubblica il 4 dicembre 2011.
 Una antica edizione del libro di Charles Dickens
Quel bimbo rapito che ispirò Dickens
ecco la storia del vero Oliver Twist
di Enrico Franceschini
La storia comincia così: «Ieri un certo Henry Murphy, un nero di circa 60 anni, con un aspetto in cui si mescolano furbizia e ferocia, e suo figlio John, un ragazzo di apparentemente 13 anni, sono comparsi in giudizio, accusati di dare ospitalità a bambini scappati di casa». «Con l'obiettivo -prosegue la storia- di indurli a rubare e a chiedere l'elemosina per loro conto. Il caso ha suscitato enorme interesse». Se vi pare di avere già sentito qualcosa del genere, non sbagliate: la vicenda ricorda "Le avventure di Oliver Twist", il più famoso romanzo di Charles Dickens, che tutti abbiamo letto da giovani o perlomeno visto in una delle sue innumerevoli versioni cinematografiche, televisive, teatrali. Ma forse non è un caso se la storia del libro somiglia a quella di Henry Murphy: quest'ultima, pubblicata nella cronaca nera del Times di Londra il 14 gennaio 1834, sembra essere stata infatti la fonte d'ispirazione dello scrittore. I suoi biografi non hanno dubbi: l'articolo, ora ripescato negli archivi del giornale da un ricercatore, fu probabilmente letto quasi due secoli or sono dallo stesso Dickens, che aveva fatto il giornalista ed era un avido lettore del Times. I particolari simili fra la realtà e la finzione sono troppi per credere a semplici coincidenze. Non tutto è identico : per esempio Murphy, il vecchio imbroglione di cui riferisce il giornale, è un nero, mentre Fagin, il malvagio protagonista del libro, è ebreo. Ma questa scelta, di cui in seguito Dickens in parte si pentì, non impedisce di pensare che la cronaca del quotidiano londinese sia la vera storia di Oliver Twist, il monello diventato sinonimo delle ingiustizie sociali dell'Inghilterra della rivoluzione industriale e il simbolo di tutti i ragazzini dallo spirito ribelle che si cacciano nei guai. L'Oliver della realtà si chiamava Edward Trabshaw, «un bambino di 10 anni dall' aria intelligente», lo descrive il Times. Suo padre era un falegname che lavorava nei sobborghi di Londra. Il 31 dicembre del 1834, scoprendo l'ennesima marachella del figlio, lo punisce costringendolo a vestirsi da femmina, convinto che in questo modo il ragazzino non se ne sarebbe più andato da casa senza permesso. Ma Edward se la svigna anche in quegli abiti inconsueti, cammina e cammina, arriva nei pressi di Piccadilly Circus, all'epoca una zona malfamata, e si mette a giocare a biglie con dei monelli di strada su Regent street. Uno di questi è John, il figlio di Murphy, che si fa raccontare cosa è accaduto e gli offre ospitalità. Lo conduce così in una catapecchia «sporca e scura», dove trova una quindicina di bambine e bambine come lui e dove viene prontamente avvertito che verrà picchiato o ucciso se non diventa un ladruncolo al servizio del vecchio Murphy: una scena che si ritrova quasi parola per parola nel romanzo di Dickens. Nella realtà, un raid della polizia libera Edward e gli altri bambini, portando all'arresto di Murphy padre e figlio, e all'articolo del Times sulla prima udienza del processo. Nella finzione narrativa, Oliver passa attraverso molte altre avventure, prima di essere a sua volta liberato. Ma è verosimile che Dickens avesse preso da questo fatto di cronaca l'idea per il romanzo: «Non me ne meraviglierei», dice Lucinda Dickens Hawksley, una sua pronipote che ha appena pubblicato una nuova biografia, con documenti e foto inedite, in occasione del bicentenario della nascita di quello che è considerato il più grande scrittore inglese dopo Shakespeare, che si celebra l'anno prossimo. Si sa che Dickens cominciò a pensare a "Oliver Twist", sua seconda opera dopo "Il circolo Pickwick", nel dicembre 1833 - e l'articolo del Times appare a metà gennaio del 1834. La popolarità e la modernità di Dickens, del resto, venivano proprio dalla sua capacità di trasportare la vita vera sulle pagine dei libri. Peccato che il Times non dica cosa succede, dopo il processo, al «furbo ma feroce» Murphy e ad Edward, l'Oliver Twist della realtà: magari adesso qualcuno scriverà un romanzo sulla loro storia e racconterà dove sono andati a finire.

Charles Dickens (1812-1870) è uno dei maggiori scrittori inglesi del periodo vittoriano (così chiamato perchè sul trono sedeva la regina Vittoria). Molti dei suoi romanzi uscirono a puntate sui quotidiani dell'epoca e conquistarono il pubblico per il realismo di storie e personaggi.
Nelle immagini sottostanti alcune illustrazioni di vecchie edizioni di "Le avventure di Oliver Twist", che venne pubblicato a puntate tra il 1837 e il 1839.


Qui sotto un fotogramma dal più noto dei film ispirati al romanzo di Dickens (la regia è di David Lean):



Una storia della Seconda guerra mondiale

POSTATO dal prof d’italiano:

Sembra la sceneggiatura di un kolossal hollywoodiano questo articolo apparso su la Repubblica del 2 dicembre 2011, che racconta un episodio poco conosciuto della Seconda guerra mondiale.


Così una mina affondò il “Titanic” sovietico
di Nicola Lombardozzi
MOSCA - Non c'erano gioielli né abiti da sera quella notte. E nemmeno struggenti storie d'amore da raccontare negli anni a venire. Ma l'incubo del mare ghiacciato, delle urla disperate dei naufraghi, della nave squarciata che si allontanava all'orizzonte, era identico a quello, più celebre e romanzato, del Titanic. Un Titanic sovietico, colato a picco esattamente settant'anni fa. Più cupo, crudele e anche più letale: 3849 vittime, molto più del doppio di quelle del piroscafo britannico. Erano quasi tutte giovanissime reclute dell'Armata Rossa e un numero imprecisato di famiglie di sfollati da una pacifica isola finlandese capitata d’un tratto al centro dell'inferno.
Riesumata da polverosi archivi della Marina dove era stata gelosamente sepolta con la dicitura "top secret", la storia della nave "Josif Stalin" è una storia di cinismo, inettitudine militare e spietate strategie di propaganda. Tutto comincia la sera del 2 dicembre 1941. L'avanzata nazista sul territorio sovietico sembra inarrestabile. Le truppe tedesche marciano senza sosta fino alle porte di Mosca e intanto si allargano verso Nord conquistando uno dopo l'altro i porti del Baltico e del Golfo di Finlandia. Stalin appare paralizzato, sotto choc per le notizie di continui disastri militari e per l'incapacità dei generali.
Qualcuno gli spiega che anche Tallinn, la capitale estone sta cadendo in mano al nemico e che l'isoletta finlandese di Hanko (in russo Khanko) deve essere abbandonata. Una sola nave è abbastanza grande da portare in salvo la popolazione e i soldati della guarnigione ormai indifendibile. È proprio la "Josif Stalin", nave a due ponti, voluta e fatta costruire in Olanda da Stalin in persona nel 1939. Doveva servire per concedere spartane crociere ai lavoratori sovietici. E lo stesso Stalin si era fatto dipingere nei manifesti pubblicitari mentre impugnava un timone e invitava i suoi concittadini a rilanciare i viaggi per mare.
Usare una nave così simbolica per un'operazione talmente rischiosa non è una scelta facile. Stalin chiede di togliere le scritte di poppa e sostituirle con la più anonima sigla VT-521. Ma il piroscafo ha una sagoma riconoscibilissima. Quando arriva al largo di Hanko, tutti sanno che è arrivato Josif Stalin per portarli in salvo. La nave si riempie oltre a ogni limite. Le cabine da tre posti ospitano fino a quaranta persone. Militari, ma anche donne e bambini su ogni angolo dei ponti che un tempo servivano per la passeggiata. La temperatura è di dieci gradi sotto zero, nevica, lastre di ghiaccio compaiono inquietanti sul pelo dell'acqua. Quando lascia il piccolo porto abbandonato, il piroscafo imbarca 5.589 persone. Il Cremlino ha preteso una maxi scorta di caccia e dragamine. Agli sfollati danno un senso di sicurezza. Non sanno però che il comandante Nikolaj Stepanov ha ricevuto dalla Marina tutta l'assistenza possibile tranne una cosa fondamentale: la mappa delle mine sovietiche disseminate in acqua per fermare gli u-boots tedeschi. Roba troppo delicata per consegnarla a un civile. Succede così che le navi di scorta evitano le trappole amiche e la "Josif Stalin" no. La prima esplosione è a mezzanotte. Migliaia di disperati cercano di salire in coperta. Stepanovic fa chiudere le porte di acciaio. Le urla degli imprigionati saranno coperte da altre due esplosioni.
Fino alla quarta che spazza via la prua. La nave è perduta, tra i ghiacci del Golfo di Finlandia si disperano migliaia di persone in cerca di salvezza ma il freddo le uccide una dopo l'altra. Si tenta un soccorso che ha scarsi risultati, poi quello che resta della Stalin se ne va verso il mare aperto. A bordo ci sono il comandante e altri 2.500 passeggeri. La nave non è governabile, ma regge ancora.
Stalin è furioso, ordina di recuperarla a tutti i costi, la sua omonima non può finire in mano ai tedeschi. Per due giorni nella tempesta del Baltico i naufraghi resistono. Qualcuno muore di freddo, qualcun altro si uccide. Ma non ci sono testimonianze dirette. Di certo all'alba del 4 dicembre il capitano di vascello Ivan Sviatov firma un ordine a tutte le unità russe: «Rintracciate il relitto della Stalin e affondatelo». Meglio uccidere 2.500 sovietici piuttosto che cedere la nave simbolo. Ma l'inefficienza della Marina questa volta aiuta i naufraghi. Le ricerche tra nebbia, gelo e informazioni errate non riescono. Il relitto e suoi disperati passeggeri viene catturato dai tedeschi. I quali, anche loro distratti dalla guerra, non capiscono o non sfruttano l'effetto propagandistico. Il Titanic sovietico resterà un segreto fino a ieri. Senza testimoni. Catturato insieme agli altri, il comandante Stepanov, viene inviato in un campo di concentramento nazista a Tallin. Tre anni dopo, quando l'Estonia sarà liberata dall'Armata Rossa, verrà fucilato senza processo, per "alto tradimento". Le feste per la Vittoria non potevano essere disturbate da scomode rievocazioni.

La nave "Josif Stalin"

mercoledì 28 dicembre 2011

Il sesso spiegato ai bambini

POSTATO dal prof d’italiano:

Questo articolo, apparso su la Repubblica il 2 dicembre 2011, è più adatto ai vostri genitori che a voi; o magari va bene se lo leggete assieme…

LE PAROLE GIUSTE PER RACCONTARE L’EROS AI FIGLI
di Maria Novella De Luca
Sembra sempre troppo presto. O troppo tardi. In realtà sono i genitori a pensare di non avere l’età. Di essere troppo giovani o troppo vecchi per affrontare “quelle questioni”. Ancora tabù, nonostante tutto. E così accade che i ragazzi imparino da soli, oggi come ieri, soltanto che oggi c’è Internet, e questo cambia molto le cose se parliamo di sesso, di sessualità, e perché no, anche d’amore. Materia difficile nell’era dell’eros virtuale, dove dodicenni che forse non hanno mai dato né ricevuto un bacio fanno “sexting” in giro per la Rete “postando” immagini di sé in atteggiamenti sexy, con una grande confusione tra il vero e il falso… E allora, qual è l’età giusta? Quali sono i termini, le parole, gli esempi per affrontare il discorso “sesso” con questa generazione di bambini e adolescenti che fin dall’infanzia rischia di imbattersi in ogni tipo di rappresentazione “hot”, in ogni tipo di immaginario erotico? Il tema è talmente “urgente”, nonostante le montagne di volumi scritti in ogni parte del mondo, che l’American Academy of Pediatrics ha messo insieme un breviario di pochi e sintetici consigli rivolti ai genitori.
Un gruppo di scienziati ed esperti dell’età evolutiva ha ripercorso le tappe di una educazione sessuale familiare tenendo però conto di quanto sono cambiati questi nuovi “bambini sapiens”.
E uno dei consigli più chiari è che di sesso con i bambini bisogna parlare, fin da quando sono piccolissimi, perché questo li aiuterà da grandi ad avere un rapporto sereno verso l’amore, e soprattutto, “a non anticipare l’età della prima volta”. Così se a 4 anni la domanda sarà “mamma, come sono nato?”, ad otto “sarà necessario avvertirli dei cambiamenti del loro corpo in vista della pubertà”, inserendo però già dei filtri nei loro pc, mentre a 12 anni bisognerà “spingerli a fare domande, anche le più intime”, e a partire dai 13 è “sull’amore e sul sesso sicuro” che è necessario insistere.
Del resto finché sono piccoli in fondo è tutto più semplice: ci sono i libri, le storie, titoli e titoli che spiegano l’avventura dell’uovo e del semino, c’è chi usa i disegni e chi i fumetti, chi punta al messaggio scientifico, chi si affida alla tenerezza degli animali antropizzati, “ecco tu sei arrivato così”, e il gioco è fatto. Certo poi ci sono i bambini adottati, o magari quelli che hanno due madri o due papà: niente paura, anche per loro ci sono meravigliosi albi illustrati, che è indubbio, facilitano un bel po’ la comunicazione. Il grande silenzio nelle famiglie invece scatta subito dopo, quel “grande silenzio” che preoccupa e non poco pediatri e psicologi, quando gli ex bambini non ancora ragazzi sono alle soglie della pubertà, e di ciò che gli accade capiscono poco o nulla. Ma gli adulti che intercettano quel disagio sono davvero pochi, spiega Maria Rita Parsi, psicoterapeuta dell’infanzia «direi il 30% dei genitori contro il 70% di quelli che fingono di ignorare il problema, pensando che i figli se la caveranno da soli, magari come era avvenuto a loro quando erano ragazzi». Se infatti il 44% degli adolescenti afferma “mi piacerebbe poter parlare di questi temi con i miei genitori”, e il 34 & dei teenager ammette senza imbarazzo di aver scoperto il sesso su Internet, è evidente che un vuoto c’è…
«Resto sempre colpita da quanto la rivoluzione sessuale degli anni Settanta abbia cambiato la vita delle donne e delle coppie – riflette Maria Rita Parsi – mentre tra i genitori e i figli continuino a prevalere gli imbarazzi e i silenzi di sempre. Invece questi ragazzi avrebbero bisogno più che mai di una educazione sentimentale, perché sono vittime di una informazione precoce, dove il sesso diventa soltanto quello dei video porno che trovano su Youtube. Mentre invece non sanno nulla dell’amore, e scindono il sentimento dal corpo. Nei questionari che facciamo con gli adolescenti nelle scuole, molti confessano che nei gruppi di coetanei esiste l’amico o l’amica con cui si sc…, cioè si fa sesso per fare esperienza, ma che queste esperienze non hanno nulla a che vedere con l’amore. E un film come i “Soliti idioti”, campione di incassi, è proprio il paradigma di questo tipo di sessualità povera».
Se dunque l’informazione è così precoce (e fuorviante) come contrastarla con parole giuste? È ancora valido per i bambini sostituire i termini degli organi genitali con un lessico più “gentile”, atteggiamento che ad esempio i pediatri americani sconsigliano? Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, al tema della sessualità tra genitori e figli ha dedicato più di un libro, da “Mamma che cos’è l’amore” a “Col cavolo la cicogna”. “Utilizzare i nome esatti, quelli della fisiologia, non è mai sbagliato, purché si spieghi ai bambini che tutto questo ha a che fare con un cuore che batte o una mente che si innamora. Credo che l’educazione sessuale non sia una cosa che si insegni, ma piuttosto una disposizione che i genitori devono trovare dentro di sé per affrontare questi argomenti assieme ai figli. Una educazione che comunque parte sempre dall’esempio quotidiano, dalla naturalezza verso la nudità, dal non vergognarsi della tenerezza. Per i bambini i libri sono un grande aiuto – suggerisce Pellai – non solo perché si leggono assieme, ma anche perché i più piccoli possono guardarli da soli, e trovare risposte alle loro domande”.
È verso l’adolescenza invece che le cose cambiano, in quell’età ombrosa, vulnerabile e bellissima in cui però la vita è fatta di segreti, di mistero, e le porte, vere o simboliche delle camerette dei teenager, si chiudono. «Oggi per parlare di sesso ad un ragazzino dai 12 anni in poi – avverte ancora Alberto pellai – bisogna conoscere la tecnologia. Non c’è scampo. Perché buona parte delle loro relazioni ha ormai un legame strettissimo con le loro capacità informatiche. E il fenomeno del sexting, neologismo formato dalle parole sex e texting, che consiste nell’inviare proprie foto sexy su Internet, e può aprire le porte a pericolosi incontri con sconosciuti, ci dà la misura di quanto gli adolescenti siano sospesi in un ambiente dissociato, da una parte ipersessualizzato, dall’altro del tutto ignaro dell’amore».
Ma c’è un altro aspetto importante e che infatti i pediatri americani sottolineano, quando insistono nel parlare di pubertà e che Alberto Pellai rilancia: «Oggi sono i maschi ad essere più in difficoltà nella relazione con il loro corpo. È raro infatti che ci siano ragazzine non avvisate dalle madri dell’arrivo del ciclo mestruale, mentre quasi nessuno informa i maschi di quanto i cambiamenti ormonali possano influire sul loro aspetto, sul loro umore, sulle loro relazioni».
Alessandra Graziottin, direttore del “Centro di ginecologia” San Raffaele Resnati di Milano, sposta il discorso, e dice che il miglior modo per parlare di sesso con i bambini e i ragazzi, è proprio quello di non “usare parole”. «C’è una educazione sentimentale che nasce in famiglia e si sviluppa attraverso la relazione che i genitori hanno tra di loro e che i bambini osservano. La loro affettività, il rispetto reciproco, la loro sensualità, con delle aree riservate naturalmente, tutto questo è già una educazione. E poi il rapporto con il corpo dei figli, abbracciarli, accarezzarli, senza naturalmente che ci siano confusioni sessuali. Ecco – spiega Alessandra Graziottin – questo è già essere all’interno di un sano alfabeto di sentimenti. E questa scorta di affettività farà sì che i ragazzi, crescendo, non sentano di dover correre fuori dalla famiglia per trovare qualcuno che in un modo o nell’altro li ami, ma aspetteranno il momento giusto per sperimentare il sesso. Proteggendosi così da delusioni che a volte segnano per tutta la vita».




lunedì 26 dicembre 2011

Buon Natale a Tutti :D

POSTATO da Jasmine:


Buon Natale a Tutti :D
Scusate il Ritardo è che non sono potuta Entrare !
Anche se in ritardo l'importante è il pensiero :D


Vi Dedico questa Bellissima Canzone Di Natale :
"White Christmas" 


http://youtu.be/ddVZOK_9UUI




Passate Delle Belle e Felici Vacanze :D


                                              Da Jasmine :D

sabato 24 dicembre 2011

BUON NATALE 2011

POSTATO dal prof d'italiano:
Con queste 2 surreali vignette di Massimo Bucchi, auguro a tutti quelli che capitano in questa pagina un
BUON NATALE:



mercoledì 21 dicembre 2011

vi siete mai chiesti come è nata la Coca-Cola ?

POSTATO DA Sofia   
oggi pomeriggio mi fermai in un bar e decisi di bere una Coca-Cola ........ e mi domandai come è nata la bibita più amata al mondo ?......

La "Coca-Cola" fu inventata dal farmacista statunitense John Stith Pemberton l'8 maggio 1886 ad Atlanta, inizialmente come rimedio per il mal di testa. Il primo nome che venne dato alla bevanda fu "Pemberton's French Wine Coca". Quella di Pemberton era una variazione del cosiddetto "vino di coca" (o Vin Mariani), una miscela di vino e foglie di coca che aveva avuto largo successo in Europa quando era stata creata dal farmacista còrso Angelo Mariani. All'alcol venne in seguito sostituito un estratto delle noci di cola, una pianta tropicale reputata non dannosa per la salute. Dall'uso combinato dei due ingredienti principali, la coca e la cola, la bibita acquisì il nome attuale. Quando anche la coca venne bandita (dalla pianta si estrae infatti la cocaina), venne scartato l'alcaloide dagli estratti dalle foglie di coca, mentre la cola (in noci) continuò a essere utilizzata come fonte di caffeina
Nonostante la scoperta, Pemberton accumulò forti debiti e per 2.300 dolari vendette formula e diritti della Coca-Cola ad Asa Candler, uomo d'affari che aveva intuito il potenziale della bevanda e compreso l'importanza della pubblicità per diffonderla e per sbaragliare la concorrenza.
Dopo la quotazione in borsa dell'azienda nel 1919, la Coca-Cola iniziò la sua diffusione mondiale negli anni venti, trasformandosi in un 'business' di grandi dimensioni, gestito dalla The Coca-Cola Company con sede a New York, e che comprende ulteriori bibite (meglio note col nome di bevande gassate) quali la Fanta, la Sprite e altre.
Nel 1927 la Coca-Cola viene importata anche in Italia. Nel 1960 comparve la prima Coca-Cola in lattina, mentre nel 1980 anche quella in bottiglia PET.
La bibita è disponibile nella maggioranza dei luoghi di ristorazione del mondo, ed è la bevanda per eccellenza nei fast-food.
Il marchio è stato più volte indicato da numerose ricerche come il più conosciuto al mondo. La maggior rivale della Coca-Cola è la Peps, ma ne esistono moltissime imitazioni.
La Coca-Cola vanta diversi luoghi legati interamente al marchio, tra i quali un museo ad Atlanta,sede della compagnia, e alcuni negozi di marchandising, i World of Coca-Cola di New York e Las Vegas.


POSTATO da Veronica
Caro prof grazie per il suo interesse.
Non è colpa del prof Stecca, ma è colpa mia. Per la fretta ho sbagliato... si sa la fretta è una cattiva consigliera!!!! In compenso la canzone è bella!!!!
Arrivederci Veronica.

giovedì 15 dicembre 2011

The Cranberries - Zombie

POSTATO da Veronica:

Questa canzone è un vecchietta, ma è molto bella e movimentata!!!!
http://youtu.be/Jcwsfns7KPQ

Veronica, ti boccio!!!!!!
Mi scrivi pò con l'accento?
Poi si dice vecchiotta, non vecchietta.
Infine: sai di che parla questa canzone?
Fai una ricerca e poi magari ne parliamo in classe.

P.S.: ma chi è il tuo prof d'italiano, che non ti ha ancora insegnanto che si scrive po'?
(questa aggiunta è di uno dei 2 prof maschi che hai; indovina quale)

martedì 13 dicembre 2011

Laboratorio affettivo-sessuale: lezione 6

BUDDY HOLLY & THE CRICKETS: IT’S SO EASY (1958)


It’s so easy to fall in love.
It’s so easy to fall in love.

People tell me love’s for fools.
So, here I go, breaking all the rules.
It seems so easy,
oh so doggone easy,
it seems so easy.
Where you’re concerned,
my heart has learned.

It’s so easy to fall in love.
It’s so easy to fall in love.

Look into your heart and see,
what your love book has set apart for me.
It seems so easy,
oh so doggone easy,
it seems so easy.
Where you’re concerned,
my heart has learned.

It’s so easy to fall in love.
It’s so easy to fall in love.
È così facile innamorarsi.
È così facile innamorarsi.

La gente mi dice che l’amore è una cosa da pazzi.
Così, voglio buttarmici, infrangendo tutte le regole.
Sembra così facile,
oh così maledettamente facile,
sembra così facile.
Il mio cuore sa
ciò che ti turba.

È così facile innamorarsi.
È così facile innamorarsi.

Guarda nel tuo cuore e vedi,
ciò che il tuo libro d’amore ha messo in serbo per me.
Sembra così facile,
oh così maledettamente facile,
sembra così facile.
Il mio cuore sa
ciò che ti turba.

È così facile innamorarsi.
È così facile innamorarsi.



Cantante, musicista, autore, produttore, sperimentatore di nuove tecniche in sala di registrazione e pioniere nell’impiego della classica formazione rock (ossia due chitarre, basso e batteria), Buddy Holly a dispetto della brevissima carriera è fra gli artisti più influenti del r’n’r.

DOMANDA:
È davvero facile innamorarsi? Da che cosa dipende l’innamoramento?

RIFLESSIONI:



Puoi ascoltare la canzone cliccando qui sotto (ma il video è del tutto inutile):





Laboratorio affettivo-sessuale: lezione 5

PAT BOONE: LOVE LETTERS IN THE SAND (1957)


On a day like today
We pass the time away
Writing love letters in the sand

How you laughed when I cried
Each time I saw the tide
Take our love letters from the sand

You made a vow that you would ever be true
But somehow that vow meant nothing to you

Now my broken heart aches
With every wave that breaks
Over love letters in the sand

Now my broken heart aches
With every wave that breaks
Over love letters in the sand
In un giorno come questo
Abbiamo trascorso tutto il tempo

A scrivere lettere d’amore nella sabbia

Come hai riso quando io mi mettevo a piangere
Ogni volta che vedevo la marea

Cancellare dalla sabbia le nostre lettere d’amore

Hai giurato che non sarebbe mai successo
Ma in qualche modo il tuo giuramento non significava niente per te

Ora il mio cuore spezzato mi fa male

Ad ogni onda che si infrange
Sulle lettere d’amore nella sabbia


Ora il mio cuore spezzato mi fa male

Ad ogni onda che si infrange
Sulle lettere d’amore nella sabbia



Charles Eugene Patrick “Pat” Boone è un cantante e attore statunitense, nato a Jacksonville il 1 giugno 1934. Non è sicuramente un cantante rock, tant’è che è famoso in tutto il mondo (Italia compresa, dove ha partecipato a 2 festival di Sanremo) per le sue canzoni sentimentali e la voce melodiosa, ideali per i cosiddetti balli della mattonella, come venivano chiamati negli anni ’60 i balli lenti, da danzare guancia a guancia, senza fare un passo.

DOMANDA:
Perché tra innamorati si fanno promesse che poi non vengono mantenute?

RIFLESSIONI:



Se vuoi ascoltare la canzone e guardare un video molto romantico, clicca qui sotto:

lunedì 12 dicembre 2011

La fabbrica del razzismo

POSTATO dal prof d’italiano:

Due interessanti articoli (pubblicati su la Repubblica il 27 novembre 2011) sull’esibizione dei “selvaggi”, che fu una prima forma di razzismo.


L’Europa in fila davanti alle gabbie del buon selvaggio
di Laura Putti
PARIGI – Considerandola una cosa del tutto normale per quei tempi, si misero in fila. I tempi erano esattamente tra il 1850, forse anche prima, e il 1930, forse anche dopo. La fila raggiunse il miliardo e quattrocentomila persone, forse anche di più. Erano i “civilissimi” europei che si affollavano felici tra i recinti, le gabbie, i palcoscenici nei quali erano confinati uomini e donne come loro, ma con un diverso colore della pelle. Erano bambini tedeschi, francesi, americani che si divertivano nei circhi o alle feste di piazza vedendo la donna barbuta, lo zulù scatenato, Toro Seduto e Geronimo impegnati in danze e spettacoli. Erano uomini e donne che guardavano altri uomini e donne chiusi negli zoo umani. «Il pregiudizio viene da lontano», dice Liliam Thuram, leggenda del calcio italiano e mondiale, che dal 2008 presiede la Fondation education contre le racisme. Oggi Thuram parla in veste di commissario generale de L’invention du sauvage (L’invenzione del selvaggio) che da martedì 29 novembre fino al 3 giugno, al Musée del Quai Branly, a Parigi, racconterà attraverso più di cinquecento tra oggetti, fotografie, filmati e documenti la costruzione del “diverso”, quindi la nascita del razzismo.
Tra la fine del Quindicesimo secolo e l’inizio del Sedicesimo l’Occidente inventa “il selvaggio”. Uomini e donne venuti dall’Asia, dall’Africa e dall’Oceania intrattengono le corti reali. Sono “bottini umani” portati dagli esploratori, uomini che tengono al laccio elefanti e giraffe, e che finiscono per diventare animali essi stessi.
Già nel 1550 gli indiani della tribù Tupinampa sfilavano a Rouen davanti a Enrico II. Il successo fu immenso, la gente accorreva, qualcuno fiutò l’affare. Nacquero così gli “zoo umani”, le fiere, i circhi, i freak show (nel 1932, sui deformi, l’americano Tod Browning girerà proprio Freaks, divenuto film cult); i selvaggi, gli uomini esotici, vengono mostrati alle Esposizioni universali e coloniali. Gli zulù a Londra, gli aborigeni a Parigi, i circhi Barnum e Bailey negli Stati Uniti. La diversità diventa spettacolo, e il “selvaggio” la garanzia di un tutto esaurito. Inizia il razzismo scientifico con un esempio per tutti: la “Venere ottentotta” dal sesso smisurato (raccontata dal bel film Venere nera di Kechiche) è prima sfruttata da un sudafricano come lei (ma bianco); poi, morta di stenti e sifilide, sezionata e il suo calco di gesso esposto al pubblico.
«Quando nell’Ottocento la gente vedeva queste persone, usciva dagli zoo umani pensando di avere davvero visto “il selvaggio”», dice Thuram, che per due anni, accanto ai commissari scientifici, gli antropologi Pascal Blanchard e Nanette Jacomijn Snoep, ha lavorato alla mostra. «Abbiamo raccolto fotografie dell’epoca, ma anche le cartoline dei “selvaggi” molto alla moda, manifesti dei circhi e degli spettacoli, pupazzi animati, calchi di gesso, filmati. Il razzismo si formava non solo davanti ai recinti, ma anche attraverso quadri bellissimi, manifesti graficamente splendidi, richiami irresistibili». E Thuram, uomo di origine africana, si è mai commosso, o irritato, davanti a questi oggetti? «Alcune cose mi hanno colpito. La prima è l’ingresso dell’Hagenbeck Zoo ad Amburgo: attorno alla porta ci sono foto di animali e uomini venuti da Africa, Asia e Oceania, messi allo stesso livello. Le hanno lasciate lì, nessuno ci fa caso. Poi la storia di un uomo africano microcefalo presentato con il nome di “What is it?”, “che roba è?”, come l’anello mancante tra l’orango e l’uomo. Ma anche due deliziosi sottobicchieri: nel primo vedi un bambino bianco che dà un pezzo di cioccolato a un bambino nero chiuso in un recinto; nell’altro lo stesso bambino bianco dà una mela a un elefante. Ma nella mostra non ci sono colpevoli e vittime: c’è solo la Storia».


Uomini e zoo – La fabbrica del razzismo
di Siegmund Ginzberg
Si è cominciato molto presto a “inventare” il selvaggio, e a esibirlo, farne spettacolo. A farne oggetto di curiosità morbosa, di sfogo alle fantasie più inconfessabili, specie quelle sessuali. A ingigantire il “diverso”, lo “strano”, il “mostruoso”. A farne il ricettacolo delle convenienze propagandistiche del momento, delle paure e, insieme, dei desideri proibiti. Da quando gli antichi egiziani esibivano i “nani neri” provenienti dal Basso Nilo, il Medioevo esibì i propri “mostri”, “esseri difformi” nelle fiere, Juan Bosch i suoi incubi impareggiabili nei dipinti, Cristoforo Colombo e poi conquistadores e pirati riempirono le corti europee con gli strani campioni di umanità strappati al Nuovo Mondo, filosofi e scrittori di viaggi suscitavano brividi nei loro lettori con i racconti sui “cannibali”. Ma solo nell’Ottocento e nel primo Novecento l’esibizione del selvaggio e del diverso avrebbero assunto dimensioni industriali.
Ne dà conto, in modo enciclopedico, l’esposizione parigina L’invention du sauvage, accompagnata da un catalogo imponente, ricchissimo di documentazione iconografica, cui hanno collaborato oltre settanta specialisti. «Zoo umani», il sottotitolo, è un termine coniato da Desmond Morris negli anni Sessanta per descrivere la condizione dell’uomo moderno che, costretto a vivere nella «giungla di cemento» della città come un animale in gabbia, svilupperebbe comportamenti animaleschi legati a questa sua condizione di cattività. Nel contesto dell’esposizione parigina il riferimento è invece agli oltre 35mila esseri umani “esotici” o “anomali” che dal 1800 a metà 1900 furono esibiti come animali allo zoo, talvolta letteralmente in gabbia.
Erano spettacoli da circo o da baraccone, sapientemente messi in scena e coreografati da impresari specializzati nello stupire ed eccitare il pubblico, sollecitarne il voyeurismo. Pioniere in Americano era stato P. T. Barnum, quello del famigerato Circo. Pioniere in Europa fu invece il pescivendolo amburghese Carl Hagenbeck, che dopo aver rifornito gli zoo di animali si mise ad esibire indigeni samoiedi o samoani. Il freak show, l’esibizione del mostro, dello scherzo di natura, e la performance con brivido dei “selvaggi autentici” erano le due facce della stessa medagli. Si misero in scena gemelli siamesi, donne e bambini pelosi, uomini-leone e uomini-elefante. Tra 1800 e 1815 grandi folle accorsero a Londra e a Parigi ad ammirare, sbirciare, misurare, persino toccare eccitati le forme ipertrofiche della povera “Venere ottentotta”. Così come la gente correva a vedere gli Indiani di Buffalo Bill (che almeno erano pagati). L’imbroglio degli imbonitori faceva parte del gioco. Andarono in scena anche uno “spaventoso guerriero del Dahomey”, che invece veniva dal North Carolina, dei “cacciatori di teste del Borneo”, cresciuti però in una fattoria dell’Ohio, persino bianchi trasformati in cannibali del continente nero con una mano di vernice.
La messa in mostra del selvaggio si ammantò presto di razzismo scientifico, prima ancora di dar man forte al razzismo popolare. Poi si trasformò in esibizione della prodezza civilizzatrice coloniale. Tutte le grandi Esposizioni internazionali avevano il loro villaggio indigeno fasullo, con centinaia di “selvaggi” in carne e ossa in mostra. L’Esposizione universale di Parigi del 1889 fu visitata da 32 milioni di persone, quella del 1900 da oltre cinquanta milioni. A Chicago accorsero nel 1893 in 27 milioni a vedere eschimesi impellicciati, “amazzoni” a seno nudo e il “villaggio algerino” con tanto di danza del ventre. A Glasgow nel 1888 erano stati quasi in sei milioni ad accorrere per guardare bayadere e fakiri. Sono già cifre da audience tv, prima ancora che si potessero immaginare la televisione, le veline, le abbondanze anatomiche in prime time e il Grande fratello o L’isola dei famosi. Ma il selvaggio di massa che si crede civilizzato cominciava già a rispecchiarsi in quello esotico e immaginario.
Anche l’Italia fece la sua parte. Si era cominciato a Torino a esibire, nel quadro dell’Esposizione generale del 1884, i cosiddetti “assabesi” dell’Eritrea, dancali provenienti dal retroterra della Baia di Assab. Seguirono ricostruzione con selvaggi “autentici” a Palermo nel 1892 e di una “Cairo”, ovviamente fasulla, a Milano nel 1906. furono portati per divertimento “selvaggi” persino al Quirinale, ma qualcuno di loro morì prima di allietare la famiglia reale. Seguirono i tempi di Faccetta nera.
Poi questo tipo di esposizione “etnica” cadde in disuso. Fino all’atroce replica del 23 giugno 1944 nel campo di concentramento di Theresienstadt (Terezin), a nord di Praga, quando rappresentanti della Croce rossa svizzera e danese furono invitati a visitare il “villaggio ebraico” gestito dalle SS, con tanto di aiuole fiorite, squadre di football, cori di bambini e orchestrine di musica classica e jazz. Per evitare una cattiva impressione di sovraffollamento, giusto alla vigilia dello spettacolo 17mila “ospiti” erano stati trasferiti ad Auschwitz.



Potete vedere un video in francese cliccando sul link :



Le avventure di Tom Sawyer (a disegni)


POSTATO dal prof d’italiano:

Mi è venuta un’idea!
Sfogliando una magnifica edizione di “Le avventure di Tom Sawyer” (Edizione PIEMME, I classici del Battello a Vapore), ho visto che ogni capitolo è illustrato da dei bellissimi disegni di Claude Lapointe, un illustratore francese che si può considerare “padre” di molti illustratori di libri per ragazzi, e ho pensato di riportarli (senza permesso! Corro dei rischi?) nel nostro blog, in modo da farne una specie di riassunto per disegni del nostro libro di narrativa. Attraverso i disegni diventa più facile memorizzare ciò che succede capitolo per capitolo.
L’idea che mi è venuta, però, è più ampia: è quella che anche voi facciate i vostri disegni capitolo per capitolo, in modo da postarli sul blog. Parlerò con la prof. di arte (parlateci anche voi) e vediamo se la cosa funziona e può essere valutata come lavoro scolastico vero e proprio.
Per dare il buon esempio, ho fatto anch’io un disegno per il capitolo 1: mi sono divertito moltissimo, anche perché erano 57 anni che non facevo un disegno! Non è granché, ma vi sfido a fare di meglio.
Ah, ricordate: sotto ogni disegno scrivete la frase a cui si riferisce.
Posteremo i disegni un capitolo dopo l’altro, mano a mano che li leggeremo.
Buon lavoro!

CAPITOLO 1:

Poco alla volta il confuso viluppo assunse linee più precise, e tra il fumo della battaglia apparve Tom che, seduto sullo stomaco del nemico, gli menava dei convinti cazzotti. (disegno di Claude Lapointe)



Poco alla volta il confuso viluppo assunse linee più precise, e tra il fumo della battaglia apparve Tom che, seduto sullo stomaco del nemico, gli menava dei convinti cazzotti. (disegno di Alice D.B. - rielaborazione dell'illustrazione di Claude Lapointe)

- Due o tre di noi ci siamo bagnati la testa sotto la pompa. Senti, ho ancora i capelli bagnati (disegno del prof d'italiano)

CAPITOLO 2:
Subentrò Johnny Miller, che aveva pagato con un topo morto legato a un pezzo di funicella per poterlo far ruotare. (disegno di Claude Lapointe)

Subentrò Johnny Miller, che aveva pagato con un topo morto legato a un pezzo di funicella per poterlo far ruotare. (disegno di Francesca L.B. - rielaborazione dell'illustrazione di Claude Lapointe)


La materia prima non mancava di certo, ragazzi ne passavano a bizzeffe. Venivano per prendere in giro e rimanevano a dare di bianco. Mentre i ragazzi lavoravano e sudavano sotto il sole, Tom se ne stava all'ombra seduto su una botte a gustarsi una deliziosa mela. (disegno di Veronica S.)


Tom consegnò allora il pennello con aria d'estrema riluttanza, ma col cuore pieno di gioia (disegno di Martina E.)

CAPITOLO 3:
Quando quell’angelo posò il piede sulla soglia, Tom emise un profondo sospiro, ma subito si illuminò, perché, l’istante prima di sparire, ella buttò una viola del pensiero oltre lo steccato. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 4:
Tom Sawyer si fece avanti ed esibì nove biglietti gialli, nove biglietti rossi, dieci biglietti blu, e chiese la Bibbia che gli spettava. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 5:
“Sarem portati in cielo tra i beati, mentre soffrono eterne pene i dannati!” (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 6:
In quel preciso istante il ragazzo avvertì una lenta e fatale morsa che gli stringeva l’orecchio, un’irresistibile, imperiosa forza che lo sollevava. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 7:
A poco a poco ella cedette e si lasciò tirare giù le mani, e il suo visetto, ancora tutto arrossato per la lotta, si sollevò e si sottomise. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 8:
Si metteva a fare il pirata! Ecco cosa avrebbe fatto! Ormai il futuro gli si apriva dinanzi, tutto circonfuso da uno splendore di gloria. (disegno di Claude Lapointe)


CAPITOLO 9

Allora derubò il cadavere, collocò il fatale coltello nella destra di Potter, che era aperta, infine sedette sulla cassa scoperchiata. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 10

Allora Tom sfilò uno dei suoi aghi, e ogni ragazzo si punse il polpastrello del pollice e ne strizzò una goccia di sangue. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 11

Pochi minuti dopo, interrogato ufficialmente, Joe ripeté sotto vincolo di giuramento la sua precedente dichiarazione, con la solita calma imperturbabile. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 12
Concentrò ogni sua speranza sullo scacciadolori. Ne diede una cucchiaiata a Tom e ne attese ansiosa i risultati. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 13

Accesero un fuoco a ridosso di un grande tronco, fecero friggere un po’ di lardo e divorarono una buona metà del pane di granturco che si erano portati. (disegno di Claude Lapointe)
CAPITOLO 14:
Il piccolo ferry a vapore si trovava un miglio circa a valle del villaggio e si lasciava andare alla deriva. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 15:
E la signora Harper scoppiò in singhiozzi, come se il cuore non le reggesse più. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 16:
Adesso si distesero comodamente, appoggiandosi sul gomito, e cominciarono a tirar boccate, cauti e non molto fiduciosi. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 17:
Senza disegno

CAPITOLO 18:
Zia Polly, Mary, gli Harper si buttarono sui risuscitati, li soffocarono di baci, ringraziavano il cielo del miracolo… (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 19:
Essa infatti sedeva tutta raccolta su di una panchetta, dietro la scuola, e sfogliava un libro illustrato in compagnia di Alfred Temple. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 20:
Dopo di che frugò nella tasca, e il momento dopo leggeva il pezzo di corteccia che Tom aveva scritto, e aveva gli occhi inondati di lacrime. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 21:
Un’idea balenò come un fulmine per il cervello di Tom. Immediatamente balzò in piedi ed urlò:
- Sono stato io! (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 22:
Continuò a scendere, sempre più giù: infine le zampe che si dimenavano furiose afferrarono la parrucca e strinsero la preda. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 23:
Quando, disperato, andò a cercar riparo presso Hucleberry Finn e venne accolto con un versetto della Scrittura, allora si sentì spezzare il cuore. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 24:
Rapido come il fulmine, il meticcio era balzato verso la finestra, s’era liberato da chi cercava di trattenerlo, era scomparso. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 25:
Allora da Saint Louis giunse una di quelle onniscienti e stupefacenti meraviglie che si chiamano detective. Questi indagò. Scosse la testa, assunse l’aria di uno che la sa lunga… (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 26:
Huck si appoggiò sulla pala, si asciugò con la mano la fronte madida di sudore e disse: - Dove cominciamo, quando si finisce qui? (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 27:
I due ragazzi non riuscivano più a respirare. Joe portò la mano al coltellaccio, si fermò indeciso un momento, poi si voltò verso la scala. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 28:
Nella locanda meno pretenziosa, il numero due era una specie di mistero. Infatti il giovane figlio dell’albergatore gli aveva detto che quella camera era sempre chiusa a chiave, e che lui non aveva mai visto entrarci o uscirne nessuno, tranne che di notte. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 29:
Huck rimase a far da palo, Tom avanzò cauto nel vicolo. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 30:
Ben presto il corteo avanzò per la rapida discesa dell’arteria principale. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 31:
La notizia si diffuse di bocca in bocca, da gruppo a gruppo, da strada a strada. Dopo 5 minuti le campane squillavano a distesa e tutto il paese era al corrente del fatto. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 32:
A un certo momento entrarono in una spaziosa caverna, dal cui soffitto pendeva una moltitudine di brillanti stalattiti lunghe e grosse quanto la gamba di un uomo. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 33:
Avevano avvistato sul fiume una barca, e Tom aveva dato una voce, narrato ai barcaioli i loro casi e detto che stavano per venir meno dalla fame. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 34:
Era la cassetta del tesoro, senz’ombra di dubbio. Si trovava in una comoda cavernetta, accanto a un barilotto di polvere vuoto, un paio di fucili nella loro custodia di cuoio, due o tre paia di vecchi mocassini, una cintura di cuoio e altre cose di poco conto. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 35:
Tom aveva già versato sul tavolo una massa di monete d’oro, ed esclamava:
– Ecco, guardate… Cosa vi avevo detto? Metà è di Huck, metà è mia. (disegno di Claude Lapointe)

CAPITOLO 36:
- Resto dalla vedova finché crepo, Tom, e se riesco a diventare un bel pezzo di masnadiero, che tutti ne parlano, credo che anche lei sarà un giorno fiera di avermi levato di mezzo a una strada e accolto in casa sua. (disegno di Claude Lapointe)